«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». (Mt 24, 37-44)
Non si accorsero di nulla… (v. 39).
La vita è una pratica di ‘attenzione’. Il grande dramma che può capitarci, è quello di vivere inconsapevolmente, un lasciarsi vivere, fare della distrazione la propria cifra esistenziale. Alla fine il diluvio – la morte biologica – toccherà tutti, e l’avrà vinta su coloro che non si son mai resi conto di essere vivi.
Perché la morte non può toccare i ‘vivi’, ma può seppellire i viventi.
Ecco perché Gesù insiste sulla necessità di vegliare e di tenersi pronti (v. 42; 44).
Ciò che conta è essere svegli, discernere il momento presente al fine di compiere tutte quelle scelte che permetteranno di vivere in pienezza e dunque per sempre, impedendo così al diluvio di portarci via con sé.
L’avvenire è definito dall’intensità con cui si vive il presente.
Ora la domanda fondamentale è come vivere il momento presente in modo tale da vincere anche il nostro diluvio esistenziale? Detto in altre parole, come vivere da risorti in questa nostra storia?
Il Vangelo è disarmante su questo punto. La vita eterna, ossia la vita qualitativamente così alta da vincere anche la morte, non è questione di ‘quantità’, ossia di aggiungere chissà cosà al quotidiano già così difficile, ma di ‘qualità’: vivere le solite cose quotidiane , ‘mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito…’ (v. 39), in maniera consapevole e nella modalità dell’amore. Vivendo i piccoli gesti di ogni giorno in maniera non autoreferenziale ma nella fecondità, si va costruendo la propria vita come un’arca in grado di solcare anche il diluvio e giungere così al porto sicuro.
L’amore eternizza ogni più piccolo gesto.
La possibilità di superare il diluvio/morte ce la costruiamo nel nostro quotidiano dunque, rispondendo al male col bene, giocandoci i rapporti interpersonali come occasione di comunione, di perdono e di festa.
Gesù insiste molto sulla necessità di entrare in questa logica. La parabola della ‘casa sulla roccia’ in fondo non è altro che ribadire questo concetto:
«Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia» (Mt 7, 24).
«Dio non distoglie anzi tempo il nostro sguardo dal lavoro che proprio Lui ci ha imposto, poiché Egli si presenta a noi raggiungibile mediante questo stesso lavoro. No, Egli non fa svanire nella sua luce intensa gli aspetti particolari delle nostre mete terrene, poiché l’intimità della nostra unione con Lui è precisamente in funzione dell’effettiva perfezione che daremo alla nostra più infima opera. Meditiamo questa verità fondamentale a sazietà, sino a che essa diventi per noi abituale quanto la percezione del rilievo o la lettura delle parole. In ciò che Egli ha di più vivo e di più incarnato, Dio non è lontano da noi, fuori della sfera tangibile; ma ci aspetta ad ogni istante nell’azione, nell’opera del momento. In qualche maniera, è sulla punta della mia penna, del mio piccone, sul mio pennello, del mio ago, del mio cuore, del mio pensiero. È portando sino all’ultima perfezione naturale il tratto, il colpo, il punto al quale mi sto dedicando, che coglierò la Meta ultima cui tende il mio volere profondo» (Teilhard de Chardin, Ambiente divino. 19).