“Ogni cosa è illuminata”

“Ogni cosa è illuminata”, di Liev Schreiber (2005)

«I ricordi servono per non dimenticare, ciò che viene seppellito non è perché noi lo troviamo ma perché lui venga trovato».

Nei giorni intorno al 27 gennaio, commemorazione per tutte le vittime dell’Olocausto, rispolveriamo questo film del 2005, divenuto ormai un cult. Si tratta di ‘Ogni cosa è illuminata’, opera prima del regista Liev Schreiber, tratto dall’omonimo romanzo di Jonathan Elijah Wood.

Un giovane ebreo americano (è Elijah Wood del Signore degli anelli), collezionista di ricordi della propria famiglia, va in Ucraina per cercarne; nel viaggio è accompagnato dalla agenzia Heritage Tours, rappresentata da nonno e nipote sgangherati e da un’automobile scalcinata; non trova il villaggio ebreo che cercava, ma una vecchia signora che conserva memorie di tutto il paese, 1800 persone sterminate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.

Un film illuminante e illuminato, come “ogni cosa” nel titolo che lavora sui registri del tragico e del comico, rivelando del primo l’universalità e del secondo il tempo e i modi della cultura, nel caso specifico quella yiddish.

«Ho riflesso molte volte sulla nostra rigida ricerca.
Mi ha dimostrato che ogni cosa è illuminata dalla luce del passato.
È sempre al nostro lato, all’interno, che guarda fuori. Come dici tu, alla rovescia.
Jonfen, in questo modo, io sarò sempre al lato della tua vita.
E tu sarai sempre al lato della mia»
(da un dialogo del film).

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