«23 [In quel tempo Gesù disse] «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate». (Gv 14, 23-29)
«Se uno mi ama… » dice Gesù (v. 23). Ma cosa vuol dire amare Gesù? Forse, semplicemente permettergli di amarmi.
Ciò che salva, è la sua presenza e azione in me. Il problema è che io spesso gli impedisco, con la mia presenza e la mia azione, di compiersi in me.
Finché ci sono io, in me non c’è Dio. O meglio c’è ma è come non ci fosse, perché inibito dal mio io ingombrante. Prevalgo io.
Occorre perciò compiere un vero cammino di espropriazione di sé, del proprio ego.
Un ego che tende a precedere sempre Dio, magari immaginandolo in un certo modo, che lo crea e lo ricrea attraverso i propri pensieri, le proprie idee. Ebbene, Dio non è la nostra idea su di lui, i nostri concetti su di lui e neanche le nostre ‘verità’ su di lui.
Dio è sempre ‘oltre’. È semplicemente l’indicibile, l’inafferrabile, l’inconcepibile.
Ecco perché Meister Eckhart scrive: «Perciò prego Dio che mi liberi da Dio», e ancora: «Dovremmo lasciare Dio in pace perché egli possa essere Dio in noi».
«Ci riesce tanto facile dire: “Dio è amore”, ma nel nostro mondo, che è tanto piccolo, l’amore ha spesso poche possibilità, s’infrange in continuazione contro le idee che ci facciamo di Dio e che addirittura gli mettiamo in bocca. Ma Dio è l’infinito e forse l’unico peccato è tutto ciò che lo limita» (E. Drewermann).
Amare Dio sarà perciò una sorta di ‘non azione’, di espropriazione di sé, al fine di lasciargli piena libertà di azione in noi. D’altra parte noi siamo per natura piena ricettività, e ciò che ci viene richiesto è solo di «coltivare tutte le nostre potenze mentali, psichiche e sensoriali perché si sviluppi in noi il divino, di cui poi fare esperienza di tale sbocciare» (W. Jager).
Allora comprenderemo perché Gesù continua dicendo: «Se uno mi ama… noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (v. 23). Non dice: ‘voi verrete a noi’, ma ‘noi verremo a lui’. L’opera è sempre sua. Non è questione di sforzi, di compiere precetti, sacrifici, preghiere per piegare il cielo verso di noi. È tutto molto più semplice: il cielo è già in noi. Occorre solo permettergli di aprirsi in tutta la sua grandezza in noi.
Una volta che Dio sboccerà in noi, diverremo anche detentori dello Spirito santo (v. 26) e della pace (v. 27). I due doni del risorto.
Lo Spirito di Dio in noi, assolve due compiti fondamentali:
- «vi insegnerà ogni cosa» (v. 26a). Cosa precisamente? Che lui è Padre, che noi siamo figli e quindi che l’unico modo per vivere è scoprirsi e comportarsi da fratelli.
- «vi ricorderà tutto» (v. 26b). ‘Ri-cordare’, etimologicamente vuol dire ricondurre nel cuore. Chi è in Dio, chi è stretto in questa unione, può dimorare finalmente in se stesso, all’interno di sé, non è più costretto a perdersi, non è più frantumato in mille pensieri e azioni che non gli appartengono. Ha le radici ben radicate in sé, al centro del suo cuore.
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14, 27). La pace è la serena certezza che in questa unione intima con Dio, non è più necessario crearsi nemici per vivere in pace. Infatti la pace del mondo (cfr. v. 27b), è resa possibile solo perché fondata sulla violenza, sulla paura, sul dominio, su pericolosi giochi d’equilibrio. La pace apportata da Cristo è invece frutto della vittoria del bene sul male, o meglio del male attraversato dal bene.
La pace su cui può riposare la nostra vita, scaturisce dall’avere lo Spirito di Dio in sé, dalla consapevolezza di essere abitazione di Dio, una cosa sola con Dio.
Laddove comincia la signoria di Dio nella nostra vita, termina anche il triste affanno del voler rimanere a galla affogando gli altri.