Non è un aggettivo possessivo, bensì relazionale.
I cristiani non sono quelli che credono di avere un Dio tutto per loro! ‘Dio è nostro’, gli altri si arrangino…
Non vuol dire identificarsi con una verità, ponendo di fatto gli altri al di fuori di essa.
Dire nostro vuol dire che Dio è Padre di tutti gli uomini, ma proprio tutti! Anche del malvagio, anche di colui che io odio. «Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5, 44s.). Dire nostro vuol dire quindi percepire che sotto questo unico cielo, io e mio fratello siamo tutti scaldati dal medesimo sole, e bagnati dalla medesima pioggia di grazia del medesimo Dio.
È importante che la preghiera non cominci con “Padre mio che sei nei cieli…”.
Dio non è mio, ma nostro. Non si può dire Padre se non prima di dire fratello.
Come si fa a non riconoscere l’altro, e poi pregare Dio chiamandolo ‘nostro’? Non è forse anche il Dio dei poveri, dei carcerati, dei profughi, degli immigrati, dei rom? Non è lo stesso Dio che ama tutti alla stessa maniera?
Chi non riconosce l’altro come fratello, non può pronunciare la parola Padre!
La fraternità, la comunione è il luogo della presenza di Dio: «Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4, 12).
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?»”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”» (Mt 7, 22-23; Mt 25, 11; Lc 6, 46). E l’iniquità si compie solo ai danni dei fratelli.
La luce per vedere e riconoscere Dio ci proviene dall’illuminare i fratelli.
La fratellanza tra gli uomini è un concetto metafisico molto interessante. Ci ricorda che siamo tutti UNO, e che proveniamo dall’Assoluto.
Se spostiamo questo concetto dalla metafisica alla politica, alcuni esseri umani (come me) si sentono orfani. La religione, dalla quale si aspettavano conforto e guida rispetto al senso della vita e del nostro stare al mondo, finisce per diventare una morale che orienta politicamente l’agire sociale, e la incontriamo non più nelle celle di meditazione, ma nei partiti politici.
Se chi dovrebbe occuparsi della metafisica scende sul piano politico, chi si occupa di Dio?