Il 2 luglio scorso è morto a New York, Elie Wiesel. Aveva 92 anni.
Scrittore e giornalista, di origini rumene, conobbe l’incubo della shoa.
Ad Auschwitz fu il n. “A-7713”.
Ad Auschwitz, ancora bambino, insieme a sua madre, suo padre e alla sorellina, perse anche la fede.
Accadde nel piazzale del campo, spettatore obbligato dell’impic-cagione del piccolo Pipel, l’angelo dagli occhi tristi.
Dinanzi a quella morte, Elie udì una voce:
«Dietro di me sentii il solito uomo domandare:
– Dov’è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
– Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…».
Primo Levi non farà che confermare queste parole quando in un suo scritto dichiarerà che se è esistito Auschwitz, non può esistere Dio.
Il massimo del male e il massimo del bene si eludono a vicenda.
Wiesel per dieci anni, dalla liberazione del Campo, non riuscì a scrivere e a parlare della sua esperienza, fino a quando l’amicizia con un altro uomo straordinario, François Mauriac, non lo spinse a mettere su un foglio l’indicibile; nacque così forse il suo capolavoro, La notte, edito in Italiano da Giuntina. Un libro da leggere.
«Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.»
Wiesel ricevette nel 1986 il premio Nobel per la pace.
Mi domando se oggi, questo uomo che conobbe il grande Male, in chissà quale altro mondo, avrà rincontrato il piccolo angelo dagli occhi tristi. Mi piace pensare di sì, ma non dopo avere rincontrato quel Dio perduto tanti anni fa, e avergli posto l’unica grande domanda che merita d’essere posta ad un Dio: perché il male?
Un sincero grazie a padre Valeriano, mio amico sacerdote, frate minore , di poche luminose parole e tanto Amore, che mi ha letto qualche riga del libretto “Elogio della vita imperfetta”.
E cosi’ scopro lei, don Scquizzato, e mi sento meno sola.
Grazie
Serena
(vedova, mamma, psicoterapeuta, ma soprattutto CRISTIANA)
Per una felice successione di casualità (ma è davvero solo questo?) sono arrivata alla recensione di Serena scritta più di tre anni fa e, incuriosita, ho letto il suo “Elogio della vita imperfetta”, Don Scquizzato, e mi sono sentita non solo meno sola ma anche tanto amata. Le vie del Signore sono davvero infinite e sorprendenti!