OMELIA 24a Domenica Tempo Ordinario. Anno C

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». 20Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». 22Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». 31Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». (Lc 15, 11-32)

 

Tutto il Vangelo è giocato su una sorta di principio di contraddizione.

Un esempio eclatante, sono proprio le tre parabole dette ‘della misericordia’ del Vangelo di oggi: è salvato solo chi è perduto, è perdonato solo chi ha peccato, la festa è riservata solo al reprobo fuggitivo.

Ma a questo punto è legittima una domanda: e le novantanove pecore lasciate dal pastore a favore di quella smarrita, le altre monete trascurate dalla donna in favore dell’unica moneta scomparsa, il figlio maggiore che non ha mai disobbedito ad un comando del padre, che fine hanno fatto?

In altre parole, la cosiddetta virtù, l’impegno a ‘fare bene’, la morale, l’obbedienza a comandi, precetti e dettami divini ed ecclesiastici… hanno ancora un senso, sono ben accetti a Dio? È possibile che Dio preferisca alla fine un disgraziato, un ingiusto, un perduto, rispetto a coloro che per tutta la vita si son sforzati ad essere moralmente ineccepibili?

Stando al Vangelo, la risposta pare essere negativa: lo sforzo morale, l’essere virtuosi, comportarsi ‘come Dio comanda’, pare non essere assolutamente sufficiente e necessario per ‘essere salvati’.

 

Il Vangelo è chiarissimo su questo punto: l’essere virtuosi, irreprensibili, buoni, se diventa fine a se stesso, non conta nulla. Tutto ciò deve essere segnato dall’amore, produrre fecondità, deve mettere in moto la vita, la propria e di chi ci sta accanto.

La cosiddetta virtù – come il bene per il bene – è pericolosissima se diventa fine a se stessa, può trasformarsi in prigione, in un assoluto, a meno che non sia fecondata dall’amore.

Ogni bene se diventa un assoluto, può rivelarsi a lungo andare, il peggiore dei mali, e la storia –anzitutto la nostra – ci ricorda quanto male si può perpetrare a fin di bene!

È molto facile, ad esempio, che una irreprensibile persona di fede, si erga a giudice inflessibile dall’alto della sua moralità.

E poi quanto male può fare un genitore influenzando scelte, impedendo percorsi, limitando la libertà dei propri figli, ovviamente tutto fatto “a fin di bene”.

Quante guerre, ieri e oggi, combattute ‘a fin di bene’, lasciando sul terreno milioni e milioni di innocenti?

Quanto male possiamo fare dicendo la verità ad una persona, di fatto uccidendola, giustificandoci  poi con l’averlo fatto solo “a fin di bene”?

È cronaca che ritorna periodicamente quella riguardante attivisti di sedicenti gruppi ‘pro vita’ – quale valore più alto può esserci della vita? – che fuori dai consultori e cliniche compiono stragi di donne che vi si son recate per abortire.

 

Occorrerebbe guardarsi dagli uomini e dalle istituzioni che si ritengono paladini e depositari dei sani e sacri valori dell’umanità – la Chiesa li chiama ‘valori non negoziabili’ – perché se al tempo stesso non testimoniano un amore folle per la persona, diventano armi, provocando molta sofferenza, in quanto il valore assoluto verrà sempre prima dell’uomo in carne ed ossa.

Dato che i ‘panni sporchi si lavano in casa’, domandiamoci quanta violenza nella storia della Chiesa in nome dei valori: rappresaglie contro i peccatori, «il magistero usato contro gli erranti e roghi contro gli eretici; quanti fulmini sui miserabili lanciati dagli spalti del potere in nome di Dio» (Balducci).

Gesù nel Vangelo non ha mai posto il valore prima dell’uomo: per lui viene sempre prima l’uomo e poi il sabato, mentre la religiosità ebraica poneva come valore assoluto e indiscutibile il sabato, accettando azioni e comportamenti disumani nei confronti dei disgraziati purché il sabato venisse osservato.

 

Per questo forse che Gesù spedisce al primo posto nel Regno di Dio prostitute e disgraziati! Per questo che nella casa di Dio si fa festa sempre per le persone più improbabili, come ci ricorda in maniera inequivocabile il Vangelo di oggi.

Perché Gesù ha solo fatto un bene segnato dall’amore (perché il bene e l’amore non coincidono!), ossia quello che mette in conto la propria ferita e addirittura la propria morte, pur di vedere l’altro compiersi in umanità e vivere in pienezza.

Allora non c’è che sperare che un domani, il cristianesimo ci riveli la possibilità di congiungere la virtù all’amore, all’umiltà, alla fraternità. Ma se ciò non dovesse accadere, di chi sarà la colpa se non di questa scissione radicale dell’amore per cui per essere virtuosi bisogna essere duri e per far festa bisogna essere peccatori?

Quando avverrà che potremo unire la virtù e la festa?