«Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. 14Appena li vide, Gesù disse loro: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. 19E gli disse: “Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”». (Lc 17, 11-19)
«Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea» (v. 11).
Perché l’amore potesse dirsi compiuto (Gerusalemme), Gesù dovette passare dentro-attraversare la Samaria e la Galilea, simboli da sempre di lontananza, ‘non popolo’, di inimicizia, di infedeltà.
Stando al Vangelo di Giovanni (cap. 4), sarà proprio in Samaria a risiedere la sposa infedele che muore di sete, di una sete esistenziale che né l’acqua del pozzo (il possesso delle cose), né la passione grande dell’amore (i sei uomini che l’hanno posseduta), e tanto meno l’adorazione del suo Dio sul monte Garizim (la religione), hanno potuto estinguere. Gesù dovrà proprio passare da lì per unire a sé la propria amata (l’umanità malata d’amore) e mostrarsi finalmente come il ‘settimo’ uomo (numero della pienezza) ossia il compimento del cuore.
Proviamo a tradurre tutto questo in parole semplici: per incontrare il nostro Dio e farne esperienza, l’unico luogo che dobbiamo frequentare, l’unico pellegrinaggio che dobbiamo compiere è risiedere ‘malati d’amore’ là dove siamo in questo momento: il nostro peccato, il nostro limite, la nostra debolezza, la nostra fragilità è il posto che lui sceglie di attraversare, perché possa avere senso il suo ‘andare a Gerusalemme’, ossia il vivere l’Amore. È la nostra lontananza da lui, il luogo dove lui può starci vicino. Sono le nostre zone perdute, i luoghi dove Dio può farci visita.
Gesù, entra in un villaggio – la parte più indecente di me – e «gli vennero incontro dieci lebbrosi» (v. 12), dieci ‘morti viventi’, secondo la religiosità del tempo, le mie zone d’ombra.
Gesù entra e il ‘male’ gli si fa incontro! La misericordia è calamita che attira a sé la miseria!
A questo punto succede un fatto strano: Gesù non li guarisce! Dice loro semplicemente: «Andate a presentarvi ai sacerdoti» (v. 14).
Si tenga presente che secondo l’Antico Testamento, i lebbrosi non possono recarsi dai sacerdoti perché questi risiedono nella città santa, Gerusalemme, la città di Dio. E nella città santa – al Tempio – non possono accedere gli impuri.
Il significato è splendido. Gesù mi dice: non temere, non credere più che non puoi avvicinarti a Dio come sei. Vai, cammina, credici! E vedrai cosa succederà mentre camminerai con la tua verità esistenziale verso la Verità. Abbi fede che così come sei, con la tua storia, con la tua fragilità, con le zone di ombra che ti porti dentro, con le tue continue cadute e con tutti i tuoi sbagli Dio ti sta già attraversando, è già in cerca di te.
«Mentre essi andavano furono purificati» (V. 14b). La guarigione, la nostra ‘ricreazione’ avviene in itinere, durante il lento procedere della nostra storia personale. L’importante è camminare, procedere, non lasciarsi bloccare da inutili e sterili sensi di colpa. “La meta è la via” ricorda la tradizione taoista. Infatti la lebbra di questi dieci malati, scompare proprio durante il loro lento cammino.
Non ci è più chiesto di guarire per poterci avvicinare a Dio, ma siamo guariti perché Dio è già in noi. Perché in ultima analisi la nostra lebbra, il peccato che ci condanna a rimanere fuori dalla vera vita, è la mancanza di fiducia verso Dio immaginato come padre-padrone, giudice e castigatore, verso gli altri considerati nemici, e verso noi stessi considerati sbagliati.
Tutti e dieci son stati purificati, ma uno solo torna indietro a ringraziare (v. 15). Il contesto in cui inserire questo brano è evidentemente quello eucaristico, di ringraziamento. Gesù domanda: «e gli altri nove dove sono?». Attenzione, questa domanda non è tanto un rimprovero per i nove assenti che non son tornati indietro a ringraziare (Dio non rimprovera nessuno e non vuole sudditi che ringrazino il Dio-sovrano piegandosi per la grazia ricevuta), bensì un richiamo proprio per questo che è tornato a fare eucaristia da solo. Qui risuonano come un’eco le parole che Dio rivolse a Caino in Genesi: «dov’è tuo fratello?». L’unione con Dio, il frequentarlo – anche a livello sacramentale – non può mai esaurirsi in un fatto personale e intimistico. O riconosciamo Dio come Padre perché fratelli, o per noi rimarrà sempre e solo un idolo. Ogni eucaristia celebrata si realizza nella missione vissuta. Ogni eucaristia diventa di per se stessa un mandato ad amare i fratelli, infatti la si definisce anche Messa, da ‘missio’, missione. Se non si parte in missione a recuperare i fratelli nell’amore dopo aver partecipato alla Messa, si perde anche ciò che si è celebrato in Chiesa.