«1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: “Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”. 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. 9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”».
Dio Padre fa sentire la propria voce soltanto due volte nel Vangelo: nel battesimo di Gesù (Mt 3, 17 e parr.) e nella trasfigurazione raccontata nel brano odierno.
Nel battesimo Gesù decide di mettersi dalla parte degli uomini, ovvero sceglie di compiersi come Figlio facendosi fratello. E il Padre interviene con la sua voce confermando la scelta del Figlio, come a dire che la via dell’amore è l’unica in grado di rendere simili a Dio, l’unica capace di edificare e compiere l’uomo nella sua pienezza.
Nell’episodio della trasfigurazione, si vede come la decisione iniziale di Cristo di vivere amando sta ormai volgendo al termine, il seme sta per scendere nella terra per compiersi in pienezza, per germogliare. E ancor una volta il Padre conferma che questa è la via ‘giusta’, l’unica via feconda: «se il chicco di grano caduto a terra non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24). Il Padre interviene, fa sentire la sua voce, fa vivere un momento di paradiso ai discepoli, proprio per rassicurare i figli riguardo l’amore: non avere paura di amare, ecco dove conduce la via dell’amore; ti porterà ‘fino alla fine’, ma sperimenterai che è anche l’unica via, l’unica modalità di vivere in pienezza, di una pienezza in grado di vincere anche la morte. Facendo vivere un anticipo di paradiso, di Pasqua realizzata, Dio Padre dice a me, suo figlio prediletto, che quell’amore che conduce così in alto da essere inchiodato su di una croce è la via giusta, è la via ‘naturale’ perché l’unica capace di vincere la morte.
Il testo della trasfigurazione inizia dando una connotazione temporale: «Sei giorni dopo» (v. 1). Il tutto accade dunque nel settimo giorno. L’uomo creato nel sesto giorno, secondo la Genesi (Gn 1, 31), ora è chiamato ad entrare nel settimo giorno, il giorno ricolmo di Dio stesso, la pienezza. Ecco dove porta la via dell’amore, al compimento della creazione stessa, alla ricreazione dell’uomo. La vita giocata nell’amore non conduce alla «sfigurazione» della morte, ma alla trasfigurazione, ad una pienezza di vita qui ed ora, vita nella vita stessa di Dio Amore. Chi s’è deciso per l’amore non sta andando verso la fine, ma verso il fine, Cristo l’Omega della creazione (Ap 1, 8), il compimento di sé, seme finalmente esploso alla vita.
«Il suo volto brillò come il sole» (v. 2). Non è detto che Gesù sia colpito da una luce, da un sole proveniente d’altrove, ma che Gesù stesso è luce. È l’amore ciò che illumina veramente, è il vivere amando l’unica realtà in grado di illuminare una vita, e chi vive questa esperienza non necessita più di altre luci, fosse anche il sole stesso: «La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello. […]Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 21, 23. 22, 5).
Ascoltatelo dice Dio Padre a ciascuno dei suoi figli, ovvero a me, figlio prediletto, amato alla follia. Gesù è il Verbo del Padre (Gv 1, 1), e la Parola per definizione va ascoltata; ma noi sappiamo che «il Verbo si è fatto carne» (Gv 1, 14), per cui ora il Verbo-incarnato va seguito. L’ascolto si fa sequela, ovvero decisione di vivere come Cristo, la Parola del Padre, incamminandosi sulla medesima via dell’amore che sale sino all’altezza vertiginosa della croce.
E da questa altezza, ovvero vivendo le conseguenze dell’amore acquisiremo il medesimo sguardo di Dio sul mondo, su noi stessi, sui fratelli e su Dio.
Dal punto di vista della croce tutto diventa bello, ovvero tutto acquisisce un senso, tutto è veduto come già salvato. Questa è trasfigurazione: l’altro cessa di essere nemico da cui difendersi o da attaccare per avere salva la pelle; io non sono più un dannato ma semplicemente figlio amato da morire dall’Amore stesso; Dio non è più il tremendo giudice da cui scappare, ma il Padre che dà ciò che ha di più caro per unirmi a sé. Il mondo diventa paradiso, in quanto tutto viene condiviso e nulla è più trattenuto; mondo dove tutto si fa eucaristia, unica modalità del vivere perché possa fiorire il deserto (cfr. Mc 6, 39). Allora dall’alto della croce sperimenteremo che «è bello per noi stare qui» (v. 4). È bello stare qui, in questo spazio di trasfigurazione, in questa nuova logica di vivere il quotidiano, immersi in questa nuova luce che riporta a quella creazione originaria dove Dio vide che ciò che aveva creato era bello, perché conforme al suo desiderio. È bello stare qui, in questo nostro mondo, perché semplicemente è il nostro posto. Siamo stati creati per stare qui, in questo spazio. Ogni altro posto per noi sarebbe brutto, non fatto per noi: «Signore da chi andremo? Solo tu hai parole che danno senso all’esistenza» (cfr. Gv 6, 68). Ma per star qui occorre lasciarsi raggiungere dalla luce di Cristo, dimorare nell’Amore, allora permetteremo che nulla di ciò che ci capiterà potrà sfigurare, ma sarà tutto per una trasfigurazione.
Scopo della vita spirituale, della vita mossa dallo Spirito di Dio (amore insufflato) non sarà perciò staccarci dal mondo, disertare il mondo per godere un pezzo di Paradiso, ma sarà quello di vedere il mondo con gli occhi della fede, con lo sguardo illuminato dalla grazia di Dio, sguardo che si chiama contemplazione, secondo la bella definizione che ne diede la grande santa carmelitana Edith Stein: «intelligenza che matura sino all’amore, tanto da riuscire a scorgere il bene nel male».
Vista in quest’ottica, l’icona della Trasfigurazione costituisce il programma contemplativo della vita cristiana: lo sforzo di vedere il mondo nella luce della fede, ovvero con gli occhi di Dio: “sub specie eternitatis”.
«Nella vita divina il Figlio nasce contemplando il Padre (‘Era presso il Padre’, Gv 1, 2) e nella vita umana la visione di Cristo costituisce l’elemento essenziale della nostra nascita spirituale come figli adottivi di Dio.
Mosè ed Elia parlano dell’esodo, cioè della passione del Cristo. Solo quest’ultima farà risplendere la luce non solo in cima al Tabor, ma al cuore stesso delle sofferenze degli uomini, del loro inferno, e infine della morte. La stessa luce, frutto dell’energia di Dio, della trasfigurazione ci è ora donata nel pane e nel vino eucaristici. Allora i nostri occhi si aprono e noi comprendiamo che il mondo intero è intriso di quella luce: tutte le religioni, tutte le intuizioni dell’arte e dell’amore lo sanno, ma è stato necessario che venisse il Cristo e che avvenisse in lui quell’immensa metamorfosi perché si rivelasse infine che alla sorgente delle falde di fuoco, di pace e di bellezza presenti nella storia, vi è, vincitore della notte e della morte, un Volto» (Olivier Clément).