1 “In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro .7Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
Qual modello di uomo abbiamo scelto, per edificare la nostra vita? È questa la domanda che Giovanni pone a noi oggi attraverso la lettura del Vangelo di oggi. Ciascuno di noi è portato, anche inconsciamente, a seguire dei modelli, nella convinzione che seguendoli potremo vivere felici. Va da sé che ognuno di noi ha il suo modello di riferimento, che lo voglia o no, un pastore che ha deciso di seguire nella speranza che questi lo possa condurre a pascoli di felicità.
Ogni epoca, ogni cultura, ha sempre proposto i suoi modelli, i suoi pastori. Le incarnazioni possono mutare ma il modello rimarrà sempre identico: l’uomo che riesce a dominare, cioè che è “signore” sugli altri perché potente. Siamo fatti così, si segue il potente perché è vincitore. A chi salterebbe in mente di seguire un perdente?
E si seguirà un modello del genere, perché il nostro desiderio è di diventare a nostra volta potenti, dominatori, signori. L’uomo da sempre desidera diventare re e, se arriverà a detronizzare quello che sta sul trono, sarà solo perché su quello scranno vuole arrivarci lui. Siamo fatti così: contestiamo il potere perché desideriamo essere potenti; siamo tutti, alternativamente, carnefici e vittime.
Gesù è venuto a dirci che esiste un altro modello di uomo che, se seguito, è in grado di far vivere in un modo “altro”. Ed è Gesù stesso che si propone a noi come guida, pastore, ma non come uno che domina, che schiaccia gli altri, che elimina, ma come l’uomo che dinanzi al limite, alla debolezza e al male dell’altro prende su di sé tutto ciò facendone il luogo di perdono, di aiuto, di crescita e di salvezza. Gesù di Nazareth – che è l’incarnazione di Dio – è venuto a farci comprendere che è necessario impostare un nuovo tipo di uomo, un nuovo tipo di relazioni non fondate sull’”homo homini lupus” ma sulla verità, ovvero nella convinzione che l’altro non è più un lupo ma un fratello che, se preso in cura, amato e accettato proprio nei suoi limiti, nella sua fragilità e debolezza, diventa la propria realizzazione, il proprio compimento. Non abbiamo più bisogno di sbranarci a vicenda per vivere ma la vita sta proprio nell’accettare l’altro in un amore che è in grado di dare la vita. Esistono due modalità d’esistenza: nella prima ho bisogno di far morire l’altro per avere la vita; nella modalità cristica invece do la mia vita all’altro perché l’altro possa vivere in pienezza.
Di conseguenza il cristianesimo nella storia sarà la proposta (non l’imposizione) che un altro tipo di umanità è possibile. Vivere da cristiano nel mondo è affermare con la vita che esiste un altro modello di uomo, che è possibile vivere in un modo vero, corrispondente al cuore.
Gesù è venuto a svelare i falsi pastori di Israele. E pagherà con la vita questa rivelazione. L’uomo si fa un’idea perversa di chi lo comanda: pensa di ricevere vita da loro, mentre essi gli stanno dando la morte. E questo può accadere a tutti i livelli: religioso, civile, politico, culturale, sociale. Le dittature si sono giocate su questo principio e si rischia di chiamare salvatore colui che ti sta sfruttando.
Gesù è venuto a rivelarci una verità fondamentale: “Voi seguite falsi pastori che vi stanno uccidendo mentre state uccidendo quel Dio che vuole donarvi la vita”! Certo, perché da sempre l’uomo si porta dentro una terribile idea di Dio. È convinto che Dio sia lì a sfruttarlo, a giudicarlo, a condannarlo. E altro non può fare che allontanarsi da un Dio così. E segue invece falsi pastori che chiedono la vita! Siamo tutti ingannati. Facciamo dell’uomo pastore un dio da seguire, e uccidiamo Dio perché lo riteniamo contro l’uomo. Seguiamo da sempre chi ci toglie la vita. Quanti potenti abbiamo idolatrato nella storia?
Vorrei cogliere solo alcuni aspetti di questo brano densissimo d’indicazioni preziose.
Al v.1 Gesù dice: “Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta ma vi sale da un’altra parte è un ladro e un brigante”. Gesù sta parlando ai farisei. Queste parole sono un atto di accusa tremenda nei loro confronti, mettendo in crisi secoli di mentalità religiosa.
Qui si parla di “recinto”. Il recinto è il perimetro che delimita un appezzamento di terreno ma Gesù parla ai farisei che frequentano il tempio dove si trova il “recinto del tempio”. Gesù sta portando il discorso ad un livello teologico, parlando del tempio di Gerusalemme che era il luogo essenziale perché l’uomo potesse fare esperienza di Dio.
Entrare nel “recinto del tempio” voleva dire entrare nel luogo dove poter fare esperienza di Dio. Ma a che prezzo? Un prezzo altissimo!
Cosa fa una pecora in un recinto? Non può far altro che essere munta, tosata, venduta e macellata mentre lei è convinta di stare lì a vivere in pienezza!
Il pastore, di conseguenza, tiene le pecore nel recinto per trarne un vantaggio: latte, manto, carne. I pastori (i capi religiosi) – siamo a livello teologico – faranno sempre credere alle loro pecore di essere nel posto giusto: “Stai tranquillo, qui sei a contatto con Dio”.
Finalmente, dice Gesù, è arrivato qualcuno a toglierci da quel recinto, a dirci che per avere un contatto con Dio non abbiamo più bisogno di essere munti, tosati, macellati o sgozzati. Non c’è più bisogno di essere sacrificati; è finita l’epoca dei sacrifici. Gesù è venuto a creare una breccia in quel recinto perché possiamo uscire e andare in pascoli di erba verde. La vita sta nella libertà, nell’intelligenza e chi fa esperienza di intelligenza e libertà, fa esperienza di Dio.
Al v.7 Gesù dirà “Io sono la porta”, è solo Lui che mette in comunicazione con Dio, Lui che ha dato la vita per noi.
Occorre ricordare qui il passo di Gv 2, 13ss., in cui Gesù entra nel tempio e caccia fuori mercanti e pecore (v. 15). I mercanti perché stavano sfruttando le pecore e le pecore per dir loro che la libertà è fuori.
(E’ questa l’azione di Dio nei confronti dell’umanità: liberarci (cfr. Gv 8, 36).
È bello ricordare, nel capitolo quinto di Giovanni, l’episodio del paralitico che si trova tra il tempio e la piscina. Gesù si pone di fronte proprio alla porta delle pecore, quella da cui entravano le pecore per il sacrificio.
Le pecore rappresentano l’umanità e Gesù ci dice che è finita l’era in cui l’uomo deve farsi sgozzare, sacrificarsi per unirsi a Dio. È finita!
Eppure, ancora oggi, quanto si parla di sacrificio, specie nella vita religiosa, ci si dimentica che l’unico sacrificio è quello di Gesù sulla croce e che l’unico sacrificio che siamo chiamati ad offrire è quello Eucaristico che è il Suo Sacrificio per noi, non il nostro!
Gesù dice che chi ha bisogno di entrare aggirando l’intelligenza (e la coscienza) altrui con imbrogli, con propaganda, è uno che vuole ingannarti e vuole impadronirsi di te. Infatti, dice: “Tutti gli altri sono ladri e briganti” (v.8). I ladri e i briganti hanno in mente solo che l’uomo non capisca ma obbedisca; questo vale sia per il mondo religioso che per il mondo civile.
Gesù è l’intelligenza e l’amore di Dio che non vuole altro se non che l’uomo comprenda la verità e sia finalmente libero per amare: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32). Dio dinanzi a sé non vuole né schiavi né servi (Gv 15, 15), mentre i re hanno sempre bisogno e pretendono schiavi e sudditi.
Gesù è venuto a tirarci fuori da tutti gli steccati del mondo – religiosi, civili e culturali – per portarci alla libertà, alla verità.
Al v. 2 Gesù continua dicendo: “Chi entra dalla porta è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce; egli chiama le sue pecore ciascuna per nome e le conduce fuori”.
Il pastore delle pecore entra dalla porta e il guardiano gli apre. Chi è il guardiano? Siamo noi che apriamo spontaneamente il cuore a ciò che riteniamo buono e bello. Ossia vero. Questo succede anche a livello antropologico: se percepiamo che una persona è buona, “bella”, spalanchiamo il cuore, le permettiamo di entrare in noi. Siamo ontologicamente fatti per il bello e il buono. Siamo fatti per la verità, la bontà e l’amore. Per questo, ogni volta che facciamo un’esperienza di malignità, di falsità, di cattiveria stiamo male!
Siamo noi i portinai di noi stessi! Giovanni nell’Apocalisse scrive: “Io sto alla porta e busso” (Ap 3,20). E non può far altro, in quanto la porta ha soltanto una maniglia ed è all’interno, dalla nostra parte.
Poi il brano continua: “Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Si tratta di riconoscere la voce. Il problema è come riconoscere la voce tra tante voci che ci lusingano. Oggi viviamo in un mondo di voci, tutti dicono qualcosa e noi seguiamo la voce che reputiamo capace di donarci felicità, anche se poi ci ritroviamo sgozzati e depredati.
Domandiamoci: a quali pastori apriamo il nostro cuore? Quali pastori ascoltiamo? Da quali voci ci lasciamo ammaliare?
Il pastore chiede di essere ascoltato, in quanto l’unico che “chiama le pecore per nome” (v. 3), per condurle fuori. È bellissimo! Questo pastore è l’unico che ci chiama per nome. Per i pastori che sfruttano, le persone non avranno mai un nome, saranno semplicemente una massa indistinta.
Noi siamo un nome davanti a Dio, non un numero. “Io ti ho chiamato per nome e tu mi appartieni” (Is 43,1).
La Parola, lo spirito, l’amore scaturito dalla croce, possa renderci attenti alla Voce che ci conduce fuori, ci fa vivere un esodo di liberazione, ci rivolge l’unica Parola in grado di riportarci alla verità di noi stessi: figli amati, amici preziosi. E tutto questo perché possiamo giungere a vivere ‘la vita’ ed in ‘abbondanza’ (v. 10).