«La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Con l’evento della Pentecoste succede qualcosa di grande nel nostro rapporto con Dio.
Nell’Antico Testamento, precisamente nella rivelazione fatta a Mosè nel roveto ardente (Es 3, 14), Dio si dà all’uomo come ‘colui che sta con’, una ‘pro-esistenza’. Egli è a favore dell’uomo, lo protegge, lo accudisce, lo guida. Dall’avventura dell’Esodo appare chiaramente che egli è il Dio che cammina davanti al popolo, di notte come colonna di fuoco, di giorno come colonna di nube. Un Dio che sta di fronte dunque.
Nel Nuovo Testamento, col Dio fattosi carne, abbiamo una modalità diversa della presenza di Dio con l’uomo. Dio passa dall’essere di fronte, all’essere l’Emmanuele, ovvero “il Dio con noi”: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:a lui sarà dato il nome di Emmanuele» (Mt 1, 23).
Con la Pentecoste, la presenza di Dio si compie attraverso una modalità ancora più alta, o se vogliamo più profonda: non più il Dio ‘dinanzi’, non solo il Dio ‘con noi’, ma nientemeno che il ‘Dio in noi’. Nel Vangelo di Luca questa modalità di presenza inimmaginabile, era già in qualche modo presente nelle parole di Gesù: “Il regno di Dio è in mezzo a voi” (7, 21). Dove questo “in mezzo a voi” andrebbe inteso come dentro di voi, nella parte più profonda di voi stessi. Ebbene, con la Pentecoste Dio si fa più intimo a noi di noi stessi, nascosto nelle piaghe della nostra stessa umanità, “Respiro del nostro respiro” come ebbe a dire Julien Green.
Madeleine Delbrêl scrive: “Se vai nella parte più recondita del mondo troverai tracce di Dio, ma se scendi nel tuo cuore troverai Dio in persona”. Le fa eco Etty Hillesum, quando nel suo Diario scrive: «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda, e in quella sorgente c’è Dio».
Dio come parte più profonda del mio essere, come “in sorgente”. La giovane olandese continua: «Ci sono alcuni che quando pregano guardano in su, altri quando pregano si curvano su se stessi, cercano dentro».
La Pentecoste è la festa dello stupore di essere divenuti casa di Dio.
«Dio è dentro. Dio è un feto che sta dentro e che bisogna far partorire. È una delle più antiche tradizioni della mistica quella dell’uomo “incinto” di Dio, cioè sentire che c’è qualcosa che abita talmente profondamente che ha bisogno di crescere dentro per esser messo al mondo. Non un Dio che viene da fuori, ma dentro “in sorgente”, per questo bisogna scavare il pozzo» (fratel Michael Davide Semeraro).
Gesù rispose a chi gli faceva presente che sua madre e i suoi fratelli fossero fuori ad attenderlo: “Chi è mia madre?” (Mt 12, 48). Madre è colei che partorisce una presenza nel mondo. Gesù dice ai suoi: chi è dunque colui che mi partorisce, mi rende presente nel mondo? Con lo Spirito in noi, ora siamo abilitati a rendere presente Cristo nella nostra vita, nei nostri ambienti vitali: con la nostra carne diamo carne al Verbo. In che modo concretamente? Amando i fratelli: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (v. 21).
La Pentecoste è l’evento grazie al quale possiamo cominciare ad amare i fratelli, e in questo modo rendere presente Cristo con la nostra umanità.
Una vita compiuta, realizzata sarà dunque quell’esistenza che renderà presente il Cristo attraverso le proprie relazioni, il proprio prendersi cura dell’altro, nella ferialità del vivere. Ma può capitare, disgraziatamente, che la nostra vita si consumi in un inutile agitarsi, darsi da fare, correre, lavorare, impegnarsi per poi non dare alla luce nulla. Solo vento. È ciò che il profeta Isaia esprime splendidamente in forma poetica nel capitolo ventiseiesimo:
«17Come una donna incinta che sta per partorire
si contorce e grida nei dolori,
così siamo stati noi di fronte a te, Signore.
18Abbiamo concepito,
abbiamo sentito i dolori
quasi dovessimo partorire:
era solo vento;
non abbiamo portato salvezza alla terra
e non sono nati abitanti nel mondo».
«Non abbiamo portato salvezza alla terra». Ecco ciò che lo Spirito provoca in noi: possibilità di portare vita, senso, compiutezza agli uomini e alle donne che incontriamo.
Con la Pentecoste si verifica il cambiamento del cuore di pietra in cuore di carne annunciato dai profeti: «Darò loro un cuore nuovo, uno spirito nuovo metterò dentro di loro. Toglierò dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne» (Ez 11,19). Da questo momento non “dobbiamo” più amare, ma “possiamo” amare, siamo abilitati a farlo, c’è il passaggio dalla morale alla libertà.
Gesù non ci dice più cosa fare o non fare, il Vangelo non è un manuale di istruzioni, con cui confrontarci, queste erano le 10 parole (comandamenti) dell’AT; il Vangelo, invece, è la bella notizia che il nostro cuore è stato cambiato e possiamo vivere dell’amore donatoci in quanto riversato in noi attraverso lo Spirito santo: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5).
Possiamo vivere una vita nuova, adesso; con lo Spirito possiamo vivere secondo Dio, cioè secondo l’amore, perché Egli è amore e desidera che viviamo l’amore da fratelli.
Nell’episodio della Pentecoste, avviene ciò che Paolo indica con parole differenti in 1Cor 12, 4ss.: «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune».
Paolo ci tiene a dire che lo Spirito è sempre uno, ma a ciascuno è dato diversamente.
Cosa ci dice tutto questo? Che l’amore non uccide le differenze, l’amore piuttosto moltiplica le differenze! Dove c’è omogeneità, dove c’è un unico pensiero, dove c’è un’unica parola e linguaggio, modo di vedere le cose, là non c’è l’amore ma dittatura (seppur del bene). I sistemi dittatoriali prima fanno sparire chi pensa, l’intellighenzia (perché chi pensa in maniera diversa potrebbe essere pericoloso) e poi dopo si instaura un unico pensiero, un unico modo di vedere, concepire, pensare, vedere le cose. Invece dove c’è l’Amore c’è la moltiplicazione di pensieri, di idee, di fantasia.
L’amore si esprime solo nella differenza.
E’ questo il frutto dello Spirito santo. Meno facciamo esperienza dello Spirito e più saremo allergici alle differenze. Ciò era già avvenuto per Adamo, che non ha accettato di non essere come Dio, non aveva accettato la differenza fra creatura e Creatore. Anche Caino non ha accettato la differenza, egli doveva essere l’unico. E quindi fa fuori Abele.
Dove manca lo Spirito si ucciderà sempre coloro che la pensano in maniera diversa.
Grazie alla Pentecoste, l’altro non è più il nemico da cui difendersi o da sopprimere, ma è fratello nella sua diversità e lontananza, col suo carattere e la sua modalità di esistenza. Fare anche dell’inimicizia il luogo della festa, del perdono, della riconciliazione, è questa la festa dello Spirito, che scaturisce dalla Croce. Quelli che pensavi nemici, grazie all’amore di Cristo e alla Croce che ti ha imbevuto, son divenuti fratelli; si può vivere in maniera divina e parlare la lingua che tutti comprendono, quella dell’amore.
Tutto ciò può diventare un test per la nostra vita spirituale: più sono ipersensibile verso le differenze, più è necessario che io cammini nella spiritualità, nella vita dello Spirito, non da scoraggiato però, ma semplicemente consapevole di dover stare di più di fronte alla Croce, in fraternità e in ascolto della Parola.