«Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. 39Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, 40e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». (Mt 5, 38-48)
«Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio» (v. 38). E’ il massimo di giustizia cui si era giunti nella riflessione morale dell’Antico Testamento: si risponde al male con un male “proporzionato” e non eccessivo; insomma, ognuno paga secondo il danno commesso. Un argine alla vendetta, ma non ancora capace di guarire il male perpetrato. Il male subìto, anche se in modo proporzionato, viene comunque restituito, non vinto. Il Vangelo fa compiere un passo ulteriore: il male non si vince con altro male, ma solo col bene (1Pt 3, 9; Rm 12, 21; 1Ts 5, 15). E nel nostro brano Gesù dà delle indicazioni ben precise per vivere questo:
«Io vi dico di non opporvi al malvagio» (v. 39). Non dice di non opporsi al male, perché questo va sempre combattuto, ma a chi fa il male. Questi è la prima vittima del male compiuto, e in quanto tale va amato ancora di più, perché vittima del suo stesso male. Gesù ama il peccatore proprio perché odia il male. Dinanzi a colui che gli fa il male, egli si fa carico di questo male non restituendoglielo, perché tornerebbe a questi moltiplicato. Il male, come il bene, si moltiplica compiendolo. In ultima analisi, l’Amore dichiarerà sempre guerra al male, salvando però sempre chi l’ha fatto.
«Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra porgigli anche l’altra » (v. 39). L’amore sopporta, nel senso di ‘portare su di sé’ il doppio del male, cioè non restituendolo, impedendo così che questo torni moltiplicato sull’altro. Questa è la tolleranza nel suo significato più profondo, termine che deriva da tŏllere = portare, sopportare. Essere tolleranti col male necessita di molta più forza che restituirlo in un atto di violenza. È forte solo chi resiste al bisogno di vendetta.
«A chi ti vuol togliere la tunica, lascia anche il mantello» (v. 40). Anche se sei ‘nel giusto’, pur di rimanere in pace con tuo fratello, lasciagli tutto: la nudità di Gesù sulla croce è stata la nostra pace, la nostra salvezza. Siamo stati rivestiti dalla sua spogliazione.
Letteralmente sarebbe: «Se uno ti angarierà ad accompagnarlo» (v. 41). In ambito romano, l’angarius è il messo del re che aveva il potere di obbligare i cittadini a portare i suoi pesi. Ogni fratello che mi si fa incontro è ‘figlio del re’, messo regale. Per cui diviene per me un dovere fraterno portare i suoi pesi: «Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6, 2).
A chi ti chiede dà… Il dare è sempre una vittoria sul prendere, e quindi sull’egoismo.
Gesù invita ad una ‘giustizia superiore’, ossia non solo ad amare, ma amare i nemici (v. 44), ossia l’altro riconosciuto nella sua totale alterità. La forza vincente del cristianesimo, sin dalle origini, è stato proprio quell’amore che non fa differenze di persone. L’amore non ‘sceglie’ chi si merita d’essere amato. Dio, l’Amore, è solo amore in-condizionato, senza condizioni.
Dio ama ‘a pioggia’, disinteressandosi su chi possa cadere il suo amore; scalda tutti, indipendentemente dal merito di ciascuno.
Chi entra in questa logica, chi vive il medesimo stile di Dio, si trasforma sempre più in se stesso, ovvero si compie come figlio del Padre.
Diventare perfetti (v. 48), vuol dire semplicemente maturare sino alla pienezza di sé. Il perfetto è semplicemente l’uomo maturo, completo.
Figli lo siamo per vocazione, ma occorre diventarlo in pienezza, come un seme è chiamato a divenire frutto. E si diviene pienamente figli facendosi fratelli nell’amore, vivendo come il Padre.
Il v. 48 che andrebbe quindi tradotto così: «Voi dunque [se vivete da figli facendovi fratelli] diverrete compiuti come è compiuto il Padre vostro celeste».