La fedeltà è una conseguenza dell’amore, non può essere elevato a valore a sé stante.
Lo sappiamo, l’amore coniugale può conoscere la frantumazione e la sua irrevocabile fine, e i due compagni si vedono costretti a separarsi.
Mi domando se la Chiesa debba leggere questa situazione drammatica solo attraverso la categoria dell’infedeltà reciproca, e porre di fatto i coniugi in stato di peccato grave dinanzi a Dio qualora consumassero effettivamente la separazione contraendo una nuova forma di legame. Infatti questo nuovo amore, questa ricreazione personale, sempre agli occhi della Chiesa, non può che risultare esecrabile e quindi da condannare. Per tornare in armonia con Dio l’amante dovrebbe semplicemente pentirsi, «pur sapendo che nella storia degli uomini ben raramente qualcuno è mai riuscito a ‘pentirsi’ realmente di un amore reale o addirittura a distruggerlo col pentimento» (Drewermann).
I poeti di ogni epoca hanno cercato di scandagliare l’abisso del cuore umano, e hanno partorito storie splendide: Giasone e Medea, Teseo e Arianna, Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra. Chi nella storia si è mai permesso di giudicare e condannare storie come queste, miti certo, ma proprio perché tali destinate a ripetersi sempre?
L’amore, per definizione, potrà mai essere ritenuto immorale e definito peccato? Oppure ne esiste solo uno rettilineo e sempre nel senso della morale e del diritto?
L’impressione che si ha, nel clima d’un certo moralismo, è che si ritenga la forma del matrimonio e la sua indissolubilità più importante dell’amore stesso, noncuranti poi se all’interno del matrimonio vigano solo più ricatti indicibili, povertà di cuore e tristezza infinita.
Alla lettera della legge è sempre unita la crudeltà. Il problema della Chiesa è i Sacramento che agirebbe ex opere operato, l’aver sostituito il Sacramento al Mistero e il non considerare l’uomo reale, cioè perfettibile. I due Sacramenti che lega
no per sempre mi fanno paura. Il Mistero si ascolta, ci si interroga, davanti al Sacramento, sempre ex opere operato, ci si trova davanti ad un fuori misura che scavalca l’umano. Il Sacro non è il Santo. Chi, se non chi vive uno stato, può sapere in quale realtà si trova? Il teologo sa, il moralista corregge, il santo ringrazia.