Mi sono imbattuto, nella lettura del libro-testimonianza di Renato Spaventa ‘Il cuore dell’assassino’, in questa splendida pagina di uno Swami indiano, prete cattolico, che vive nella regione del Madya Pradesh. Un pensiero di vastissimo orizzonte intellettuale e spirituale. Da leggere e rileggere.
“Invidia e conformismo ci allontanano dalla nostra natura divina: ci identifichiamo con ciò che non siamo o crediamo di avere. Paragonarci agli altri ci rende infelici e allontana da Dio. La comparazione è un male al quale siamo educati fin da piccoli. Ci viene chiesto di essere i primi della classe. Guardiamo a ciò che ci manca, non a quello che ci è stato dato.
Dio è come un Artista che scolpisce una bellissima statua, che poi non è contenta dei suoi capelli, dei suoi occhi, e chiede di essere cambiata. Allora l’Artista è triste e si allontana dalla sua creatura. Gesù è la statua che ha riconosciuto la sua vera natura e l’ha abbracciata, rendendo grazie all’Artista. Non ci dobbiamo curare di ciò che non abbiamo, siamo perfetti così come siamo. Così ci ha voluti l’Artista, e ci ama come ci ha fatti. E se siamo colpiti da malattie che ci invalidano, non dobbiamo per questo pensare di essere caduti in disgrazia o di essere puniti. La sofferenza è necessaria. Fa parte della vita e della natura.
Dobbiamo accettare ciò che siamo. Non siamo il nostro corpo. Il corpo cambia e decade, noi siamo eterni. Non abbiamo nulla di nostro, ma possiamo tutto. Siamo oltre. Non dobbiamo comportarci come la statua che rimprovera l’artista. Né insistere nel chiedere ciò che non abbiamo.
In realtà, nulla ci appartiene. Non possediamo neanche il nostro corpo. Siamo figli di Dio. Dobbiamo ricordarci chi siamo, farne esperienza. Siamo eterni. Il respiro è cosa divina, come noi inspiriamo ed espiriamo, così gioiamo e soffriamo, e per quante pene avremo, tante saranno le gioie. E se riusciremo a consolare qualcosa della sua pena, a prenderla su di noi, le gioie raddoppieranno. Dobbiamo sempre benedire, mai criticare. Se vediamo una persona sbagliare, parliamone con amore, la nostra intenzione non deve mai essere punitiva.
Non dobbiamo dare giudizi di merito. C’è un mistero divino nella Creazione. Ognuno è perfetto in sé, ha un ruolo. Per scoprire quale sia, dobbiamo abbandonarci alla volontà di Dio, annullare la nostra. Arrenderci, accettare la vita, ringraziare e benedire chi ci critica o ci fa del male.
Il male, come lo intendiamo oggi, è un’invenzione degli uomini che voglio decidere chi va in Paradiso e chi all’Inferno. Nasce dall’ignoranza e dalla paura, dalla smania di controllare gli altri e la natura. Gesù si rivolge in questo modo a prostitute e peccatore: “Siete figli di Dio”. Non lo dice ai farisei che pensano di poter controllare il mondo stabilendo ciò che è bene e ciò che è male.
Chi siamo noi per giudicare gli altri?
Dio non è una persona. Non è Lui ad essere fatto a nostra immagine, è la nostra essenza fatta a sua immagine e somiglianza. Noi non vogliamo riconoscerlo. Dio è quell’oceano di cui noi siamo una goccia, e a cui prima o poi ritorneremo.
Bisogna essere figli di Dio, santi, perfetti dall’interno: il Regno di Dio è dentro di noi. Il Tempio di Dio è dentro di noi, non nei cieli. Bisogna fuggire il conformismo, la paura, il giudizio. Amare l’altro come un fratello, nel senso letterale del termine. Si può perdonare solo quando si è fatta esperienza della natura divina che è in noi, quando si vive nell’accettazione e non si ha paura. Quando ci si affida totalmente alla volontà di Dio. Quando abbandoniamo il nostro ego, accettando come qualcosa che è con noi, ma che non è noi. Finché non raggiungiamo la consapevolezza della nostra natura, continuiamo a vivere nella sofferenza. Il Regno di Dio è dentro di noi. È la fede che ci salva.
Siamo educati a provare il senso di colpa dai nostri genitori e dalla società. Maria, invece, benedetta dall’Angelo, accetta integralmente la sua condizione di figli di Dio, e dice a Gesù: tu sei benedetto, sei Emanuele: il Dio vivente. Tutti siamo benedetti, tutti noi siamo figli di Dio: non accettiamo questa condizione, perché siamo in preda al senso di colpa, alla paura del peccato, al sentimento di inadeguatezza” (Swami Michael Porathukara).