15a Domenica Tempo Ordinario. Anno A

«In quel tempo Gesù disse: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9Chi ha orecchi, ascolti”». (Mt 13, 1-23)

 

Dio ‘sciala’.

L’amore dà, non importa dove, come, quando. Perché è fatto così, non può non donarsi. Infatti Dio non ama, è amore, per cui non può non amare e non donare.

L’amore si riversa su tutto e su tutti, impregna ogni cosa e chiunque, indifferente dal tipo di terreno e dal tipo di persona che sei. «Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5, 45), non fa preferenza di persona (cfr. At 10, 34), non guarda in faccia a nessuno, ma solamente al cuore (cfr 1Sam 16, 7).

Soprattutto non fa preferenze nella mia persona. Io sono il terreno dove l’amore – che è Dio – accade. In questa mia storia fatta di terra dura, di sassi, di rovi, di superficialità – ma soprattutto di terra buona, Dio si riversa. Non mi ama a pezzi; abbraccia tutto l’amato: la luce e la tenebra, il bene e il male, l’ombra e lo splendore. Un amore che scegliesse cosa amare dell’altro sarebbe un amore impazzito, schizofrenico.

Se Dio ha una debolezza dunque, è quella di abbracciare il tutto e quindi di recuperare sempre, di scommettere ancora una volta su chi ha fallito, e non finire di rompere ciò che è già scheggiato:

«Non spezzerà una canna già incrinata,
non spegnerà una fiamma smorta,
finché non abbia fatto
trionfare la giustizia» (Mt 12, 20).

E la giustizia di Dio è solo la possibilità di riversare il suo amore su tutti i suoi figli.

 

Al di là dei sentieri che lo attraversano, delle pietre che nasconde e dei rovi che lo dominano, l’uomo agli occhi del suo Dio, sarà sempre terra bella, madre feconda in grado di ricominciare ancora una volta, di rimettersi in piedi ancora una volta, di sbagliare ancora una volta.

 

«Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro. Essi credono che quando qualcosa ha subìto una ferita ed ha una storia, diventa più bello. Questa tecnica è chiamata “Kintsugi”.

Oro al posto della colla. Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva trasparante. E la differenza è tutta qui: occultare l’integrità perduta o esaltare la storia della ricomposizione?

Chi vive in Occidente fa fatica a fare pace con le crepe.

“Spaccatura, frattura, ferita” sono percepiti come l’effetto meccanicistico di una colpa, perché il pensiero digitale ci ha addestrati a percorrere sempre e solo una delle biforcazioni: o è intatto o è rotto. Se è rotto, è colpa di qualcuno.

Il pensiero analogico – arcaico, mitico, simbolico – invece, rifiuta le dicotomie e ci riporta alla compresenza degli opposti, che smettono di essere tali nel continuo osmotico fluire della vita.

La Vita è integrità e rottura insieme, perché è ri-composizione costante e eterna. Rendere belle e preziose le “persone” che hanno sofferto… questa tecnica si chiama “amore”.  Il dolore è parte della vita. A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del grande puzzle, della musica profonda, del grande gioco. Il dolore fa due cose: T’insegna, ti dice che sei vivo. Poi passa e ti lascia cambiato. E ti lascia più saggio, a volte. In alcuni casi ti lascia più forte. In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto ciò che d’importante potrà mai accadere nella tua vita, lo comporterà in un modo o nell’altro.