«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. 14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio ha mandato il Figlio nel mondo 16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Oggi, 14 settembre, la Chiesa ci invita a celebrare la grande festa denominata “Esaltazione della croce”, a ricordo del leggendario ritrovamento, ad opera di sant’Elena madre di Costantino, dei legni della croce di Gesù, avvenuto il 14 settembre dell’anno 320. Chi oggi fa visita alla basilica del santo Sepolcro a Gerusalemme, può fermarsi in preghiera dinanzi alla grotta dove avvenne questo ritrovamento. Al di là delle motivazioni più o meno storiche, dedicare una festa al mistero della croce è importante; vuol dire cercare di comprendere, con l’intelligenza del cuore, come un patibolo infame di morte possa diventare albero di vita feconda.
Nel testo scelto per questa occasione – il dialogo tra Gesù e Nicodemo avvenuto di notte – Gesù afferma: «bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo» (v.14).
«Essere innalzato» vuol dire sia ‘glorificazione’, ‘manifestazione massima, la più alta’, che ‘essere tirato su, elevato’ appunto sulla croce. Il concetto è chiaro: non vi è altra via per giungere alla gloria, non vi è altra possibilità di essere in alto, grandi che conoscere e vivere quell’amore che è capace di andare fino alla fine, ovvero donare la vita per gli altri. Anzi l’amore necessita (bisogna che…) di conoscere ‘la croce’, perché questo tipo di amore se non è ferito rimarrà sempre sterile, non feconderà mai.
La croce è rivelazione dunque della natura dell’amore, di come funziona, di come si comporta. Dinanzi al male, alla morte, al dolore, alla sofferenza, l’Amore non è presenza muta e impotente; la croce è lì a ricordarci che Dio è intervenuto – e continua a farlo ogni istante – nel male immergendosi fino in fondo, prendendolo su di sé, portandone tutte le conseguenze. La croce è la somma di tutto il male del mondo, di quello perpetrato dall’inizio del mondo e di quello dell’ultimo uomo che calcherà questa terra. Dio salendo sulla croce, assumendo in sé questo male, assorbendolo in sé come una spugna, mostra che questo è anche l’unico modo per poterlo sconfiggere. L’avesse riversato sul mondo, si sarebbe moltiplicato e noi ne saremmo rimasti sommersi. L’unico modo per sconfiggere e vincere il male è non restituirlo, bloccarlo in sé, portarlo. Non vi è altra possibilità.
Il crocifisso è la rivelazione massima di ciò che vuol dire amare: dare la vita a chi te la sta togliendo.
La croce è rivelazione, narrazione, grido del vero e unico nome di Dio: misericordia, perdono, passione. Un Dio che per amore dei suoi figli crocifissi, si fa crocifiggere per poterli raggiungere, stare con loro e riportarli a casa.
La croce è rivelazione dell’amore che Dio nutre per questo mondo, proprio questo, il nostro e non un altro un poco più bello, pulito e sano; è rivelazione massima dell’amore che ha per me, creatura malata, che sono immerso in questo mondo malato: «ha tanto amato il mondo» (v. 16), e l’ha amato da morire: «da dare il Figlio», ovvero se stesso.
La fede cristiana altro non sarà che conoscere e credere a questo amore folle di Dio per me: «E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1Gv 4, 16). La fede è credere che all’origine di me vi è un amore che non tradisce, non rivendica ma è fedele al di là di ogni mia infedeltà e non abbandona al di là di ogni mio abbandono.
E chi crede a questo amore non potrà mai andare perduto ma è abilitato a vivere una vita di una qualità così grande e bella da vincere anche la morte: «Perché chi crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna» (16b). Certo, perché Dio non ha figli da perdere, ma solo da recuperare e ricondurre in casa sua. E perché nessuno andasse perduto, ha cominciato a cercare ogni suo figlio tra gli alberi dell’Eden, cominciando da Adamo, gridando con amorevole apprensione «Dove sei?» (Gn 3, 9), e finendo la sua ricerca tra gli alberi della croce, dove finalmente ha trovato tutti i suoi figli, anche l’ultimo ladrone. Ci ha trovati tutti, noi ladroni crocifissi, per farci dono di sé, della vita, quella che non finirà mai, denominata da noi paradiso: «Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23, 43) .
La croce è rivelazione della vera immagine di Dio che frantuma tutte le nostre false immagini di lui, che ci portiamo dentro, quelle introiettateci, come veleno mortale, dal serpente antico per il quale Dio è despota malvagio, egoista e usurpatore della libertà umana. Il crocifisso è antidoto al veleno della falsa immagine di Dio; egli non è colui che credevamo fosse, ma il Padre che dà la vita al figlio che gliela toglie, che dà il boccone di vita a Giuda che lo tradisce e che lava i piedi a noi suoi amici perché Dio non è il padrone da servire ma il padre che si annulla per i suoi figli.
La croce è rivelazione della vera immagine dell’uomo. Guardando la croce scopro quanto valgo, quanto sono prezioso, perché io valgo quanto sono amato, questo è il mio prezzo. E la croce mi dice che io valgo immensamente, valgo la vita di Dio. Se non contemplo la croce allora non varrò nulla, o al massimo il prezzo che gli altri porranno su me; varrò quanto gli altri mi stimeranno e – in fin dei conti – sarò disposto a tutto per comprarmi un po’ della stima degli altri, disposto anche a morire un po’, per non morire del tutto.