«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?”. 41Gli risposero: “Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. 42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi?
43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». (Mt 21, 33-43)
Dio ha un desiderio, che l’uomo viva in un giardino, in uno stato di pace, di serenità e che in questa sorta di paradiso terrestre possa godere dei frutti della vigna, che fuori di metafora è la felicità.
A noi il compito di gestire questo giardino, di trasformarlo, di farne il luogo della nostra gioia. A quel punto Dio ha deciso di non entrarci, di non interferire, di amarci senza intromissioni, rendendoci responsabili della nostra compiutezza, perché l’amore desidera solo la libertà dell’amato.
«Nel bene e nel male, per possedere davvero ciò che abbiamo ereditato dal padre dobbiamo riconquistarlo» (Goethe).
Ciò che riceviamo in dono, da parte degli uomini e di Dio, va conquistato. Dio ci ha dato tutto in dono, compresa la vita, ma non ci ha regalato nulla. Sta a noi portare a compimento ciò che ci è stato donato solo in nuce. Questo si chiama responsabilità. Tutto va “salvato”, perché salvare in ebraico significa dilatare, aprire a nuovi orizzonti, far sbocciare.
Noi non siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1, 27) nel senso di qualcosa compiutosi all’origine di noi, ma come qualcosa che ci sta dinanzi: attraverso il nostro vivere quotidiano ci compiamo sempre più ad immagine e somiglianza di Dio. In un certo senso non siamo creati, ma in creazione.
Il nostro brano afferma al v. 34 «Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti». Certo perché una vita che non produce frutti è una vita sterile e perciò insensata.
Il primo comandamento di Dio dato all’uomo è stato infatti: «Siate fecondi» (Gn 1, 28). Ma non nel senso di moltiplicarsi nel mondo col mettere al mondo figli, ma in senso esistenziale: che la tua vita sia feconda, sia bella, vera, dia frutti di vita affinché coloro che ti si accostano possano viverne di conseguenza. D’altra parte l’opera di Gesù nel mondo è volta proprio perché tutti i figli del padre producano frutti di vita: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16).
«La luce splende nelle tenebre / e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1, 5).
I contadini omicidi, nella parabola, dicono: «Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!» (v. 38). Niente di più vero! Dall’aver messo a morte Dio, gli assassini ebbero in cambio l’eredità stessa di Dio, ovvero la sua stessa vita. Perché l’amore funziona solo così! Dà la vita a chi gliela toglie, perdona chi lo ferisce, accoglie chi lo rifiuta. Altrimenti sarebbe semplicemente uomo, che toglie la vita a chi attenta alla sua, fa violenza a chi lo ferisce, e allontana chi lo rifiuta. Dopo averlo trafitto, il centurione fa la prima grande professione di fede: «Davvero costui era Figlio di Dio» (Mt 27, 54).
L’amore diventa fecondo quando viene ferito. Per cui Dio non si lascia mai sorprendere dall’esterno, e il male non avrà mai potere su di lui. È come se il male che gli uomini scatenano su Dio fosse combustibile per vita ulteriore.
Questo è l’amore che ha il potere di trasformare in bene il male, per il fatto stesso di assorbirlo in sé. Ora questo è potere dato a ciascun cristiano, la Chiesa è chiamata allo stesso principio: vincere il male con il bene (Rm 12, 21).
Chi vive così produce frutti che dureranno per sempre.