«Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
2Come sta scritto nel profeta Isaia:
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
3Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri,
4vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». (Mc 1, 1-8)
All’inizio del suo Vangelo, Marco ci presenta Giovanni il Battista intento a proclamare la conversione attraverso il battesimo. In questa sua missione, il Battista viene presentato in un modo un po’ strano: veste di peli di cammello, con una cintura ai fianchi, mangia cavallette e miele selvatico. Cosa si nasconde sotto questa precisa indicazione?
Anzitutto veste di peli di cammello (v. 6). Il cammello, si pensava, è l’unico animale in grado di attraversare il deserto – luogo tipologico di morte – senza disorientarsi e morire. Cristo è colui che ha attraversato la morte, l’ha superata vivendo per sempre. Marco non fa altro che invitare ciascuno di noi a rivestirsi di Cristo, del suo vivere, del suo modo di pensare e di agire. Di rivestirci del Vangelo insomma, dell’amore di Dio per me, della logica del bene, unico modo di attraversare il quotidiano segnato dalla morte, e la morte ultima, vivendo per sempre (cfr. Rm 13, 14).
Giovanni, ci informa ancora Marco, porta ai fianchi una cintura di pelle (v. 6b); nell’esodo il popolo ebraico era chiamato a cingersi l’abito con una cintura (Es 12, 11), per poter camminare liberamente, per non inciampare, per compiere più speditamente il cammino verso la Terra Promessa. Siamo uomini fatti per andare avanti, per entrare in una pienezza che ci sta sempre dinanzi. Occorre non inciampare in distrazioni inutili che rallentano o addirittura conducono da altre parti.
Quest’uomo si nutre di cavallette (v. 6b); un’antica leggenda semitica racconta che nel deserto viveva un tipo di cavalletta in grado di mangiare un serpente, simbolo di sempre del male.
Si nutre di miele selvatico (v. 6b). Il miele in tutta la Bibbia è simbolo della Parola di Dio.
Fuori di metafora: se nel deserto della nostra esistenza, dove tutto ha il sapore di morte, di sconfitta, di male cominciamo a nutrirci della Parola di Dio, ossia del ‘fare esperienza’ dell’Amore che vince anche la morte, allora impareremo a distruggere quel ‘serpente’ che ha voluto da sempre inocularci la tremenda idea menzognera su Dio come padre-padrone, vendicativo e giudice tremendo e così incamminarci speditamente verso il suo abbraccio di misericordia e bontà, il luogo pensato per noi da sempre, nostra vera Terra Promessa.
E là, nutriti da questo amore, consapevoli che siamo figli amati, rivestiti insomma dei medesimi sentimenti di Cristo (Fil 2, 5), possiamo scavalcare la morte stessa, in quanto finalmente capaci di amare.