«Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano». (Mc 6, 7-13)
«Chiamò a sé… e prese a mandarli» (v. 7).
Essere dei suoi significa essere per gli altri.
‘Dava loro potere…’. Uno solo è il ‘potere’ del cristiano e quindi di ogni uomo di Chiesa: quello di amare: vincere il male col bene. Ora, per amare occorre essere ‘relazione’, per questo Gesù invia i suoi ‘a due a due’ (v. 7). Perché il due è principio di comunione. E per amare occorre poi ‘non possedere nulla’, perché finché si posseggono cose si darà cose e mai se stessi. Il grande rischio nel fare il bene, è donare sempre qualcosa che non tocchi l’essere. Gesù ha dato la vita, non le sue cose. Il discepolo non ha con sé neppure il pane quando incomincia ad amare (v. 8b). Il pane è simbolo della vita, e questa non dipende da quanto pane possiedo o mangio, ma da quello che riesco a condividere con chi ne è privo. Solo quando lascerò mangiare la mia vita come un pane, avrò con me il pane necessario che mi assicura la vita. Noi viviamo di ciò che doniamo. La vita vera non dipende dal possedere una sacca e tanto meno dal denaro da riporci dentro: «Anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12, 15).
Solo in questa povertà, in questo ‘vuoto’ interiore, in questo nulla esistenziale i discepoli potranno scacciare demoni e guarire gli ammalati (cfr. v 13). Perché finalmente da quella ‘insufficienza’ emergerà la Presenza, l’unico Bene in grado di guarire e di compiere.
In At 3, 1-10 Pietro e Giovanni operano ‘miracoli’ proprio perché non possiedono nulla: «Pietro disse al paralitico: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”» (At 3, 6). Il non poter confidare su altro, fa presente in sé l’unico tesoro in grado di compiere la vittoria sul male.
Due oggetti però sono ammessi, nell’avventura del bene: il bastone e i sandali. Il bastone richiama il legno che aprì il Mar Rosso (cfr. Es 14, 16) e che fece scaturire dalla roccia l’acqua di vita indispensabile durante il cammino nel deserto (Cfr. Es 17, 5s.). Insomma il bastone è simbolo della croce, massima debolezza umana, vuoto assoluto, ma proprio per questo capace di squarciare il cielo, aprendo all’uomo l’accesso all’acqua di vita in pienezza che è Cristo stesso.
Infine è lecito avere con sé dei sandali. Nell’antichità il sandalo è la calzatura degli uomini liberi, mentre gli schiavi andavano a piedi nudi. Se si vive la logica del bene, se ci si fa dispensatori dell’essere e non dei beni, se cominciamo a guarire le ferite degli uomini risollevandoli dalla loro indegnità, allora sapremo veramente cosa significa essere liberi, altrimenti resteremo schiavi del nostro egoismo, anche se indosseremo calzature splendide, se avremo borse zeppe di denaro e dispense traboccanti di pane.