OMELIA IVa domenica Tempo Ordinario. Anno C.

« [Gesù in quel tempo cominciò a dire loro] “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. 23Ma egli rispose loro: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”. 24Poi aggiunse: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro”.28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino». (Lc 4, 21-30)

Gesù si trova nella Sinagoga di Nazaret, villaggio dove è cresciuto (v. 16). Là ci sono i ‘suoi’, che nutrono la presunzione di appartenergli solo perché ‘di casa’ con lui.
Mettiamoci il cuore in pace: non esiste alcun ‘popolo eletto’, nessun privilegio in base alla propria professione di fede, alla frequenza ai sacramenti, nessuna polizza assicurativa perché ritenutisi ‘dalla parte di Dio’.
Dio, la religione, la pratica domenicale non è una polizza assicurativa sulla vita e la salute.

Stando al vangelo di oggi, occorre giungere a riconoscersi pagani e lebbrosi (per la religione ebraica il peggio che potesse capitare ad un uomo) per fare esperienza di Dio.
La vedova e il lebbroso cui Gesù accenna, sono due personaggi dell’Antico Testamento, non israeliti, non religiosi ma soprattutto – per il loro stato – ritenuti maledetti da Dio dall’establishment religioso del tempo. Ebbene, entrambi conosceranno la guarigione e quindi la salvezza.
Due immeritevoli miserabili fanno esperienza della misericordia immeritata, perché l’amore non è premio concesso ai buoni, ma dono gratuito elargito a tutti. Semplicemente perché Dio è questo: amore che si dona non a chi se lo merita, ma a chi ne ha più bisogno.

‘Il peccato è la nostra parte di vangelo’ (Silvano Fausti).

Ciò che caratterizza questi due personaggi è l’amore, infatti entrambi – come ci racconta l’Antico Testamento – si sono distinti per la loro cura disinteressata verso chi ne aveva più bisogno.
È proprio vero, “pubblicani e prostitute” passeranno avanti ai devoti e pii religiosi di ogni tempo (cfr. Mt 21, 28), ricordandoci che non sarà mai un atto religioso a salvarci, e neanche l’appartenenza ad una fede, ma il conformarci al cuore di Dio, ottemperando così l’invito di Gesù: «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6, 36).
Il discrimine non sarà mai tra il credente e il non credente, ma tra chi ama e chi e chi non lo fa.
Insomma, per essere credenti, occorre essere anzitutto molto umani.
Chi sta dalla parte dell’uomo, si porrà sempre – lo si sappia o no – dalla parte di Dio. Ma non è detto che valga il contrario.
L’amore è infatti l’unica fede che salva. Chi non crede nell’uomo, non crederà mai nemmeno in Dio.
Si possono confessare le grandi verità cristiane, essere ortodossi impregnati di catechismi e dogmatismi, ed essere al contempo miserabili nei confronti degli altri, duri e intolleranti.
Come si può essere fatti oggetti inconsapevoli di una benedizione dall’alto che guarisce, risana e purifica per il semplice fatto di compiere gesti molto umani, perché in definitiva molto divini.