«1Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono». (Lc 5, 1-11)
«Quest’è l’ora in cui nulla / può accadere. / Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno
in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara / che l’inutilità» (Cesare Pavese).
Un giorno, all’alba, ti accorgi di aver sbagliato tutto, di aver fallito, di esserti ingannato su te stesso, su un amore, sulle tue scelte di vita, e ti trovi a precipitare nell’abisso.
È la metafora raccontata nel brano appena letto. Una notte trascorsa in mare in cerca di vita, e scoprirsi poi all’alba con le mani vuote, non potendo far nulla se non riassettare le reti.
Gesù ‘vede’ la condizione dell’umano soffrire, e vi entra dentro: «salì su una barca» (v. 3). Dio dinanzi al mio fallimento, alla mia aridità, al mio male non rimprovera, non giudica, non impone nulla, ma vi entra dentro, com-patisce, partecipa. E poi mi invita a salpare nuovamente, a ritentare il rischio dell’amore, dicendomi: prendi il largo!
Dio sposa le conseguenze del mio male, mi apre continuamente alla possibilità di una vita ‘altra’, feconda. Il fallimento passato non deve inficiare il futuro; per questo mi invita a non stare ai bordi dell’esistenza a contemplare la vastità del mare struggendomi con sensi di colpa e recriminando sul male commesso.
Prendi il largo! Tu sei fatto per altezze vertiginose, vai! La vita sta dinanzi, non alle spalle.
Dio è il verbo della vita declinato al futuro.
Ma Pietro a tutto questo non crede: «Signore allontanati da me, perché sono un peccatore» (v. 8). Ci portiamo dentro l’idea tremenda che il nostro essere segnati dal male, dal fallimento, dal limite e dalla fragilità, ci ponga di fatto lontani da Dio. Come Pietro pensiamo che solo qualora ci presentassimo irreprensibili e puri, Dio potrebbe farsi accanto. E invece no. Il Vangelo afferma proprio il contrario. Gesù dice a Pietro e a me: «Non temere» (v. 10), la tua barca – la tua storia – va bene così com’è, per questo posso salirci sopra (cfr. v. 3). La tua miseria è luogo della mia misericordia, le tue mani vuote condizione perché io le possa riempire.
«D’ora in poi…» (v. 10).
L’amore “mi fa ripartire da dove mi ero fermato” (Ronchi).
In quest’ottica la vita conoscerà un’altra fecondità: occasione di relazioni nuove, amori capaci di riscattare una vita, possibilità di recuperare fratelli e sorelle dall’abisso del male riportandoli a riva facendoli tornare a respirare. Questo vuol dire, in ultimo, diventare pescatori di uomini (v. 10)