Ieri ho registrato per una radio di Roma un intervento sul significato del sabato santo. Di seguito alcuni spunti da quella conversazione.
L'”icona” del sabato santo è fortemente simbolica. Abbiamo bisogno di simboli, per parlare alla parte più profonda di noi, e per tornare a dire qualcosa di significativo riguardo la spiritualità cristiana.
Oggi è il giorno del silenzio e del riposo. Il sabato per la cultura religiosa ebraica, era il giorno – e lo è ancora oggi – dedicato al riposo, ma per poter riposare è necessario il silenzio. In quel sabato, anche Cristo ha riposato nel sonno della morte, come il seme riposa nel terreno per portare frutto.
In questo giorno di sabato siamo chiamati a fare silenzio, o meglio a essere silenziosi. Come il seme nel terreno che si porta a compimento senza agire, senza fare rumore. Senza agitarsi.
Occorre semplicemente ‘stare’ e sapere che l’opera comunque si compie. Divenire consapevoli che lo stelo di grano spunterà, malgrado tutto. Gli antichi invocavano la necessità di vivere la vita spirituale come un fuge, tace e quiesce. Fuggi, taci e riposa.
Il fondamento biblico del sabato santo sta nel nuovo testamento. Pietro dice che Gesù dopo la sua morte: «nello Spirito andò a portare l’annuncio anche alla anime prigioniere» (1Pt 3,19). Ora questo passo va interpretato bene. Gesù è visto come colui che scende nel regno delle ombre, quello che nell’immaginario religioso ebraico è lo sheol, il regno dei morti, che in greco diverrà l’ade e poi inferi per i latini. Ebbene, Gesù, scende nel regno delle ombre. Molto bello. Gesù scenda nel regno delle mie ombre.
Ci portiamo dentro un mondo di ombre. Oggi lo sheol può essere ravvisato come l’inconscio. Allora la domanda che in questo sabato santo potrei pormi è: Che cosa escludo della mia vita? Cosa, per paura, non voglio guardare della mia storia? Cosa ho rimosso, represso nella camera oscura della mia anima? Dove mi rifiuto di guardare in me stesso? Che cosa voglio nascondere a me stesso, agli altri, a Dio? Ebbene, in questo sabato santo l’Amore scende nelle zone umbratili che mi porto dentro e che ho sempre gettato via. Le abita e le abbraccia. Non solo, Cristo è sceso anche nei miei sensi di colpa, in tutti i tormenti interiori che io mi procuro con i miei rimproveri, per liberarmi da essi. Se io smetto di ruotare attorno alla mia colpa, potrò veramente sorgere ad una nuova vita.
Proprio in questo regno dei morti, Cristo oggi vuole scendere, per smuovere e portare alla vita quanto di rigido e di morto, quanto di oscuro e di putrefatto è in me. È interessante che lo faccia col suo spirito. E il grande inno allo Spirito canta: lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina.
Lo scendere agli inferi di Gesù, ha significato dunque essere solidale con ogni mia sofferenza, il male, il dolore mio e di ciascuno. «L’immortale assunse la mortalità, per poter morire per noi e distruggere in tal modo con la sua morte la nostra morte» (Agostino).
L’oriente cristiano ha una bella immagine del sabato santo la medesima della Pasqua di resurrezione: Gesù viene raffigurato nell’atto di scendere dal regno della morte e prendendo per mano Adamo ed Eva li conduce fuori facendoli tornare a vivere in pienezza.
È bello che l’amore sia sceso in basso, molto in basso. Nell’inferno interiore di ciascuno di noi. E questo perché nessuna donna, nessun uomo su questa terra da quel momento potrà pensare di essere scesa nel male più in basso di lui. Per quanto in basso possiamo cadere, l’icona del sabato santo, ci ricorda che ancora più in basso c’è un amore che attende e abbraccia a sé.
L’icona della discesa di Cristo agli inferi ci ricorda che nessun peccato, per quanto grave, è alienante a tal punto da impedire la risalita.
Noi abbiamo la certezza che dal quel giorno, dal quel sabato santo, gli inferi sono rimasti pregni di Cristo, dell’amore.
La mattina di Pasqua i discepoli trovarono nel sepolcro solo lenzuola di lino. Ora, questo era il corredo della stanza nuziale per la prima notte di amore. Ogni mia morte, e la mia ultima morte, sarà un entrare in quella medesima stanza impregnata dal suo amore che vince la morte.
Negli inferi, nell’abisso, nel buio più profondo si manifesta in fondo la verità di noi stessi; in quel buio vi possiamo ritrovare la nostra immagine più vera.
Carissimo don Paolo la ringrazio per aver condiviso con noi questa sua riflessione. Oggi le sue parole arrivano come balsamo e luce. Il Signore sia benedetto per questo!!!
Grazie don Paolo le tue riflessioni aprono e sconvolgono il cuore ci fanno riscoprire il senso dell’AMORE ti ho scoperto da poco ma ti seguo assiduamente condivido il pensiero che ci porta a ad una fede libera da integralismi e servilismi premi e castighi……..grazie per insegnarmi a pregare in un modo diverso autentico
grazie