OMELIA 23a Domenica Tempo Ordinario. Anno B

«Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”». (Mc 7, 31-37)

 

Gesù, dice il testo, si reca in pieno territorio pagano, la Decàpoli: egli si fa presente sempre nelle nostre zone di incredulità e di lontananza.

Qui gli viene condotto un sordomuto (v. 32), anche se nel testo originale si ha: ‘un sordo e malparlante’, un uomo che parla senza riuscire ad esprimersi, un uomo che parla ma non dice nulla.

Quanto spesso il nostro parlare è solo un rumoreggiare, un parlare a vanvera, uno sparlare, un non-senso. Viviamo in un turbinio di parole che non dicono nulla, che non aiutano a crescere, a maturare, a compierci. Per questo la vita diventa assurda, etimologicamente dissonante, stonata. Il problema è che tutti noi siamo sordi all’unica parola che, se ascoltata, sarebbe in grado di dare senso alla vita, di rivelare all’uomo la propria vera identità: io ti amo, e ti amo così come sei, senza se e senza ma.

Il muto è tale perché non può udire la parola che gli viene rivolta; una vita sorda all’amore sarà una vita odiosa, ‘muta’, che non dice nulla.

 

L’umanità è da sempre sorda all’amore di Dio per lei, ed è qui che risiede la causa di tutti i suoi mali. Ma c’è stato un momento della storia in cui Dio, incarnandosi nell’uomo Gesù, ha mostrato a questa umanità quanto fosse amata, e l’ha fatto ‘pronunciando’ la sua parola definitiva, Gesù, il Verbo del Padre. È questa la Parola di Dio che finalmente vince la mia sordità, mi fa scoprire figlio amato, facendomi capace di vivere in maniera sensata, facendo in modo, finalmente, che la mia vita torni a dire ancora qualcosa, sia ancora significativa, torni ad amare!

Dunque per oggi è il Vangelo di Gesù, il farmaco per guarire questa mia sordità, e di conseguenza la mia vita assurda. La Parola di Dio – che mi dice di essere il figlio amato alla follia – diventa oggi per me logoterapia, azione guaritrice delle mie parole vuote e insulse. Parola che grida alla mia vita «Effatà, apriti!», vieni alla luce di te stesso. Rinasci!

 

Occorre tornare al Vangelo, ossia al mistero dell’Amore crocifisso per amor mio, perché la mia vita possa tornare a parlare. È proprio vedendo il suo amarmi da morire, che mi si aprirà l’orecchio e quindi il cuore ad una novità di vita.

Sì, Dio mio, apri il mio cuore alla tua Parola di amore su di me, perché il mio cuore è fatto solo per questa Parola. E allora imparerò a parlare correttamente, come questo uomo del racconto di oggi (v. 35). Prima emettevo solo suoni e rumori; parole scorrette destinate a divenire poi azioni: parole di potere, di dominio, di furbizia, di inganni, di finzioni. Ora mi hai guarito l’orecchio, l’organo collegato al cuore, ora mi sento amato da te e finalmente ho una vita in grado di ‘parlare’, capace di prendersi cura, di raggiungere, di abbracciare, di creare comunione, e darsi da fare per la pace e la giustizia.

Maria, nella tradizione orientale, è definita “la tutta orecchi”, infatti la maternità l’ha vissuta prima nell’orecchio e poi nel ventre. Ella è stata fecondata dall’orecchio, dice un antico Padre della Chiesa, Efrem il Siro. Ha ascoltato la Parola, ha partorito Gesù. L’uomo edificherà intorno a se spazi di luce, nella misura in cui ha prestato orecchio alla parola fattasi Luce.

Il vero problema dei genitori non è quello di partorire figli; la genitorialità non è questione di generazione, ma dell’ascolto dei figli; tutto si gioca nella relazione, l’accoglienza, l’affermazione dell’altro. Questo genera veramente, non il generare. Generare non è ancora nulla, l’essenziale è illuminare una vita, farla rinascere attraverso la cura.

 

Il nostro brano si conclude con questa splendida affermazione: «Ha fatto bene ogni cosa» (v. 37). In greco in realtà c’è: «Ha fatto bella ogni cosa»! Esplicito richiamo alla Genesi, quando Dio attraverso la sua parola crea, e poi vede che ciò che ha creato è bello e molto bello. Il mondo diventa bello se accade il miracolo dell’amore.

Diverrà bello quando tutti i ‘sordi’ all’amore si sentiranno amati, in modo che tutti i ‘muti’ potranno cominciare a parlare, ossia a vivere una vita sensata, spesa all’insegna della comunione, della fraternità, dell’accoglienza e dell’amore più grande.