«1Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura.4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!”. 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. 9Gesù gli rispose: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”». (Lc 19, 1-10)
Al tempo di Gesù, Gerico era una grande città. Vi abitavano religiosi importanti, uomini facoltosi e personaggi famosi. Erode il Grande possedeva tre splendidi palazzi. Gesù decide di andare a pranzo da un poco di buono, un ladro, ricco di una ricchezza disonesta. Un pubblico peccatore.
Tempo prima aveva spiegato ai suoi che: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Lc 5, 31), per questo ora ribadisce che «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (v. 10).
Con questa visita assurda, Gesù vuole dirci qualcosa del cuore di Dio. O meglio, rivelarci che se Dio fosse presente qui ed ora si comporterebbe proprio così, verrebbe a cercare e recuperare, guarire e liberare, rialzare e rimettere in moto la vita, far tornare a respirare, riaccendere una luce che rischiava di spegnersi (cfr. Mt 12, 20).
Quando Zaccheo ha questo presentimento, che Gesù rivela qualcosa dell’essenza di Dio, e che questo amore incondizionato ora è tutto per lui, si trova con la vita trasformata. A cambiare una vita non sarà mai un’ingiunzione moralistica: ‘devi, altrimenti…’, ma il sentirsi rivolta una parola amorevole: ‘ti amo dunque puoi…’.
Il pentimento non può mai essere previo al perdono, ma solo conseguenza di questo.
Noi continuiamo a credere che per fare esperienza dell’amore di Dio, occorra prima cambiare vita. Qui Zaccheo fa invece prima esperienza di un amore gratuito e solo dopo può trasformare il suo stile di vita: «Io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (v. 8).
Gesù ci rivela che è Dio a mettersi alla ricerca dell’uomo, e dell’uomo più lontano, più fragile, più abbietto, proprio perché nessuno vada perduto (Gv 3, 16).
Il cristianesimo sarà perciò anzitutto un lasciarsi scovare da Dio, aprirgli la parte più indecente di noi, quell’abisso oscuro per cui arriviamo a ritenerci esseri perduti. Presentatogli la nostra ombra esistenziale, si sperimenterà al contempo che questa sarà l’appiglio cui Dio potrà aggrapparsi per stringerci a sé nel suo abbraccio. E poi, scopertici amati e trasformati, cominceremo a vivere come l’Amore, manifestando ciò che è fede veramente: non adesione a contenuti dottrinali o «dogmi di carattere religioso, né riti sacri o normative legate a tali rituali. La fede è sempre messa in relazione a comportamenti legati alla salute e alla dignità delle persone che soffrono a causa di malattie, di esclusione sociale o a causa di carenze legate all’alimentazione o alle ingiustizie che soffrono i più deboli» (José María Castillo).