Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (Mt 28, 16-20)
Credo che la festa dell’ascensione ci insegni principalmente due cose.
1) «Ogni popolo è stato religioso e ogni religione ha rappresentato l’al di là in modo tale che i poteri dell’al di qua si sentissero convalidati e legittimati. Questa è la struttura costante delle religioni» (Balducci). Da sempre il potere religioso si nutre della stessa prepotenza esercitata sui fedeli, sentendosi legittimato a farlo certo di un mandato proveniente direttamente dall’alto. Si è giunti ad uccidere perché sicuri che fosse Dio a volerlo. L’establishment di questa religione si è sentita – e si sente – autorizzata a presentarsi come autentica mediazione tra Dio e il mondo, una sorta di passaggio obbligato per giungere al cielo, per entrare in contatto col divino.
Ebbene, con Gesù tutto questo è finito. Tra l’uomo e Dio non c’è bisogno di alcuna mediazione.
Scrive ancora Ernesto Balducci: «Fra la coscienza e Dio non c’è che il puro vuoto della responsabilità umana». D’altra parte Gesù quando invita i suoi a pregare dice: Quando pregate dite Padre (Mt 6, 9), ossia entrate in contatto col Padre immediatamente, senza mediazioni appunto.
L’immagine mitologica dell’ascensione al cielo di Gesù, vuole suggerirci questo. Gesù entra ‘nella gloria di Dio’ indipendentemente dal potere religioso del suo tempo che, condannandolo a morte, lo ritenne bestemmiatore e maledetto da Dio. Ed essendo Gesù il ‘primogenito tra molti fratelli’ (Rm 8, 29), dobbiamo credere che ciascuna persona è chiamata ora ad entrare nel cuore di Dio indipendentemente da ogni tipo di mediazione.
2) Nella prima lettura, si legge: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?» (At 1, 11). Il cielo, dopo l’evento Gesù di Nazareth, si è svuotato. Non ci è più concessa alcuna via di fuga verso l’irrealtà. Non possiamo più evadere dalla responsabilità cui ci chiama la terra con tutto il suo carico di umanità in attesa. Paradossalmente con il simbolo dell’Ascensione al cielo, le alienazioni religiose (di ogni tipo) sono delegittimate, e l’uomo è restituito alle sue incombenze.
Il cristianesimo non è la religione che promette facili paradisi, dopo un sofferto pellegrinaggio in questa valle di lacrime. Non è assicurato alcun paradiso a chi diserta la terra. Più che guardare il cielo è ora di guardare molto bene negli occhi le donne e gli uomini di questo nostro tempo, soprattutto coloro che fanno più fatica a riconoscersi tali.
L’andarsene fisico di Gesù fu letto dalla Chiesa primitiva come necessario perché potesse nascere un mondo nuovo: «È bene per voi che io me ne vada» (Gv 16, 7). Un mondo nuovo costruito faticosamente senza la tentazione di demandare tutto ad un improbabile dio nascosto lassù in alto, inoculando in questa storia intrisa di violenza e morte l’antidoto dell’amore. Un mondo nuovo fatto di relazioni guarite, e in grado alla fine di scorgere il Cristo ancora presente nel volto dei senza volto.