Mt 13, 1-23
Dio ‘sciala’.
L’amore dà, non importa a chi, come, quando. Perché è fatto così, non può non donarsi. Infatti Dio non ama, è amore. Si riversa su tutti e tutto, impregnando di sé ogni cosa e chiunque, indifferente al tipo di terreno che lo riceve: «Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5, 45); inoltre non fa preferenza di persona (cfr. At 10, 34), non guarda in faccia a nessuno, ma solamente al cuore (cfr 1Sam 16, 7).
Soprattutto non fa preferenze nella mia persona. Io sono terreno dove l’Amore semplicemente accade. In questa mia storia fatta di terra dura, di sassi, di rovi, di superficialità – ma soprattutto di terra buona, Egli vi si riversa. Non mi ama a pezzi; abbraccia tutto di me: la luce e la tenebra, il bene e il male, l’ombra e lo splendore. Un amore che scegliesse cosa amare dell’altro sarebbe un amore umano, e in ultima analisi incompleto.
Tutto ciò che è, è uno con l’Uno. Siamo uni-totalità. Siamo nell’Amore, come un tessuto imbevuto nella vernice. “Dio e io siamo uno; egli opera e io divengo. Il fuoco trasforma in sé ciò che vi è gettato, che diventa sua natura” (Meister Eckhart).
Se Dio ha una debolezza, è dunque quella di abbracciare il tutto di me, recuperare sempre, di scommettere ancora una volta sull’amato che ha fallito, che è caduto e di non finire di rompere ciò che è già scheggiato:
«Non spezzerà una canna già incrinata,
non spegnerà una fiamma smorta,
finché non abbia fatto trionfare la giustizia» (Mt 12, 20).
E la giustizia di Dio, sappiamo, nella Bibbia si chiama fedeltà.
Al di là dei sentieri che lo attraversano, delle pietre che nasconde e dei rovi che lo dominano, l’uomo agli occhi del suo Dio è sempre terra buona e bella, madre feconda in grado di ricominciare daccapo, di rimettersi in piedi ancora una volta, di sbagliare ancora una volta. Perché in fondo aveva ragione il grande drammaturgo irlandese, Samuel Beckett “Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio”.
A me è chiesto semplicemente di stare e accogliere. Fare ‘voto di vastità’. Come ‘terra deserta, arida senz’acqua’, attendo e accolgo. Faccio opera di silenzio, di preghiera che si fa Meditazione, sapendo che ‘meditare significa attendere Dio’ (Mahatma Gandhi).
Ma dinanzi a un cuore chiuso e indurito, neanche Dio può far qualcosa. L’Amore non fa violenza, sarebbe solamente la dittatura del bene.
Non c’è nulla di moralistico in questa parabola. Non viene chiesto di essere terreno buono perché la parola, l’Amore possa compiere quanto promesso, ma solo spazio vuoto per poi semplicemente credere che, indipendentemente dalla qualità della terra, la Parola, l’amore del nostro Dio porterà frutto, perché la potenza, l’energia, la fecondità non dipende dal tipo di terreno ma dal seme.
Per poi commuoverci dinanzi allo splendore del fior di loto che affonda le sue radici nella melma fangosa.
A noi è chiesta l’azione più impegnativa, quella della ‘non-azione’, il ‘wu-wei’ della tradizione taoista. Il Tao è comunque presente, e agisce, indipendentemente dai nostri sforzi e tanto meno dai nostri meriti.
‘L’artista tanto meno opera più crea’ ebbe a dire Leonardo da Vinci. Ma in fondo lo intuì già Isaia: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo / e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, / senza averla fecondata e fatta germogliare, / perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, / così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: / non ritornerà a me senza effetto, / senza aver operato ciò che desidero / e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55, 10s.).