«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». (Mc 13, 33-37)
«Fate attenzione, vegliate, che non vi trovi addormentati». Questo è l’invito pressante di Gesù nel vangelo.
Vivere da ‘svegli’ significa vivere in maniera consapevole, sapere che la vita è un lento emergere in consapevolezza dall’Unità per portarci a compimento, e vivere responsabilmente.
«È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi» (v. 34). Sì, ci è stato elargito un potere, la vita stessa della divinità, l’essenza, la totalità.
Viviamo come uno nell’Uno. Parte della divinità, del Tutto.
Vivere da addormentati significa procedere da inconsapevoli, da separati, come fossimo due realtà distinte. Scollegati dalla fonte.
«La gente lo cerca lontano, che peccato! Sono come coloro che, immersi nell’acqua, chiedono disperatamente da bere» (Hakuin Hekaku).
Non si può disgiungere il danzatore dalla danza, la linea tracciata col gesso dal gesso, l’onda dal mare.
«In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At, 17, 28).
Vegliare è tenere gli occhi aperti, come le civette che con i loro grandi occhi vedono chiaramente anche nella notte. È questa la vigilanza cui ci richiama il Vangelo: vedere nella notte ciò che altri non vedono. Scorgere una Presenza anche laddove tutto pare avvolto dal buio, un significato dove tutto pare non senso, un bene anche dove tutto pare inimicizia e odio. E tutto questo senza sforzo, senza impegno volontaristico. Semplicemente come naturale conseguenza dell’essere danzatori di una danza infinita che ci porta, ma consapevoli.
A questo punto il divino non sarà più l’oggetto esterno a noi cui ricorrere in determinati momenti di bisogno, ma il più profondo di noi stessi, che ci costituisce, di cui siamo parte.
Ci muoviamo già nell’oceano infinito, ne partecipiamo. Dobbiamo solo mollare la presa, non avere più attaccamenti per poterne godere appieno, consapevoli che alla fine ‘vince chi molla’.