OMELIA IV domenica di Avvento. Anno B

Lc 1, 26-38
Con il racconto simbolico dell’Annunciazione a Maria, finisce il tempo della religione, comincia quello della fede.
«Non si può fare un solo passo verso il cielo. Se si contempla il cielo alla fine il cielo arriverà” (Simone Weil).
La religione sta nella ricerca spasmodica di un dio, la fede è aprirsi al Mistero in cui siamo già immersi.
Maria è simbolo della creatura che si compie non facendo, che fa silenzio e si trasforma in nido; disponibilità ad essere colmata del Tutto che già l’abita ma di cui non ha fatto ancora esperienza.
Maria è detta ‘vergine’ per indicare qual è la naturale statura umana: il ‘vuoto di sé’ realizzato con la morte dell’io, dell’auto-centramento, per giungere finalmente ad esperire d’essere tutta nel Tutto. Un tutt’uno col divino, parte di Dio, come l’onda è parte dell’oceano: stessa sostanza ma con nome diverso.
Maria è dunque prototipo della creatura umana che accetta di fare esperienza dello Spirito, che ci sta nel rinunciare allo sforzo, che comprende che è inutile scalare il cielo a forza di prestazioni perché lei stessa è fatta di cielo.
Maria è la donna che ci insegna che “La creatività emerge non con lo sforzo della mente, ma quando la mente si rilassa e rimane in silenzio e senza sforzo”, per trovarci alla fine trasformati in esseri divini.
Dio è nemico del vuoto. Per questo, dice la mistica, appena scorge un’assenza è obbligato a colmarla. Finché c’è il nostro ego, lui non c’è. Quando non c’è più l’io c’è solo Dio.
Maria è simbolo della creatura che non prevede nulla, se non l’imprevedibile. Non attende nulla se non l’insperato.
Desiderare senza desiderare; attendere ma senza un oggetto atteso.
Finché attendiamo ciò che immaginiamo possa raggiungerci, ci raggiungerà solo il consueto, e in fin dei conti fantasmi.