Gv 6, 60-69
Dio non è un prezzo da pagare, come l’Amore non è un sacrificio da offrire.
L’Amore è dono e basta. Prima del ‘peccato originale’ vi è un ‘dono originario’, che precede ogni caduta, ogni infedeltà, ogni fuga. Al di là di ciò che abbiamo identificato con ‘peccato’, Dio è la fedeltà che non tradisce, amore irrevocabile, al di là dell’azione morale dell’uomo.
Gesù a quei tali che non credono alla gratuità del suo amore, ma solo alla loro perfezione religiosa, dice: “Volete andarvene anche voi?” (v. 67). Gesù non vuole con sé servi osservanti, ma uomini e donne che pur nella loro fragilità possano sentirsi figli amati da un Padre.
Piuttosto che abitare nella ‘casa di Dio’ da schiavi e sperimentarlo come un padre-padrone, sarebbe una grazia cadere nella disgrazia della lontananza da lui, perché a quel punto saremmo nella condizione di poterlo sperimentare così come egli è: Padre che corre incontro alla sua creatura gettandogli in lacrime le braccia al collo, e rivestendolo con vesti da prìncipi per poi dare inizio ad una festa in suo onore per essere tornato da zone di ombra e di morte (cfr. Lc 15, 11ss.).
D’altra parte sono proprio ‘pubblicani e prostitute’ ad avere occhi e cuore in grado di sperimentare di che stoffa è fatto il loro Dio (cfr. Mt 21, 31s.).
Sono proprio coloro che giungono da molto lontano – da “oriente, occidente” – e che tutti reputavano pagani e peccatori a contemplare il vero volto del Padre (cfr. Mt 8, 11).
In fondo l’unico a cui è stato promesso il ‘paradiso’ non è stato il ‘primo’ religioso del tempio di Gerusalemme, ma l’ultimo disgraziato crocifisso con Gesù fuori delle mura di Gerusalemme (cfr. Lc 23, 43). Insomma, saranno per fortuna ancora una volta gli ultimi ad essere i primi nel Regno dei cieli (cfr. Mt 20. 16).