Mc 12, 28b-34
Si avvicina a Gesù uno scriba, un’autorità nel gotha religioso di quei tempi. Il suo insegnamento era ritenuto talmente importante da essere considerato infallibile, voce terrena della volontà celeste.
Questi pone una domanda tendenziosa all’uomo di Nazareth: “qual è il primo di tutti i comandamenti lasciatici da Dio?”. Tendenziosa perché finanche un bimbo sapeva che il primo comandamento – a cui Dio stesso obbedisce essendosi riposato in quel giorno – è l’osservanza del sabato. In un passo dell’Esodo si ha Dio che ordina addirittura di mettere a morte chi avesse trasgredito il precetto.
Gesù glissa, non risponde come il mondo religioso si sarebbe aspettato, e cita il grande Credo d’Israele, lo Shemà Israel, tratto dal Libro del Deuteronomio (6, 4-5). Spiazzando così lo scriba.
“Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Interessante che venga anzitutto ‘comandato’ il silenzio: ‘ascolta’! Non ‘fare, o non fare’ per la divinità, ma ‘ascoltare’, dargli spazio, lasciarsi raggiungere da Lui, per essere da Lui trasformati per poi agire come Lui.
C’è ancora un aspetto interessante: Gesù cita testualmente Deuteronomio ma aggiunge: ‘con tutta la mente’, a dirci di essere ragionevoli nell’atto di fede, coltivare lo studio, l’approfondimento delle cose di Dio. Una fede senza ragione è irragionevole, fideismo, superstizione, becero devozionismo.
Gesù però non si limita a citare lo Shemà, s’appresta a dire che vi è un secondo comandamento fondamentale. E questa volta lo recupera dal libro del Levitico: ‘amare il prossimo come se stessi’, tradotto potremmo dire: prendersi cura perché gli altri possano giungere a vivere in pienezza, alla luce di sé.
Con questa aggiunta, Gesù vuole evitare che si caschi in una tentazione molto diffusa allora come oggi, ossia che vi possa essere un amore totalizzante per la divinità, fatto di culti, riti, sacrifici, preghiere fine a sé stesso. Dio va amato certo con tutto l’essere, ma la modalità è l’amore verso gli altri! Questo è il comandamento: l’amore di Dio inverato nell’amore al prossimo.
Quelli che pensano che l’amore verso la divinità si esaurisca in un commercio devozionale con essa, Gesù li ha appena scacciati dal tempio, definendoli ‘ladri’ (cfr. Mc 11, 17).
Ebbene, il Nuovo Testamento su questo è chiarissimo: la strada più breve per giungere a Dio è passare dai fratelli.
Marco riguardo i due comandamenti afferma un primo e un secondo, ma alla fine dice: «non c’è comandamento (uno solo) più grande di questi», a dire che il comandamento è unico.
Matteo (22, 39) dirà ‘il secondo è simile a quello (lo Shemà); Luca addirittura fonda insieme i due precetti (10, 27).
In Giovanni Gesù va ancora oltre: «Vi do un (uno solo) – comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (13, 34). E Paolo: «Pieno compimento della Legge è l’amore» (Rm 13, 8-10).
Alla fine lo scriba cede, e si complimenta con Gesù, compiendo un passaggio formidabile rispetto la religione comune: “L’amore verso i fratelli vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici” (v. 33), considerati allora fondamento della religione, quella esteriore e commerciale, intenta solo ad estorcere alla divinità un ritorno personale con pratiche devozionali.
La religione non si risolve in un rapporto verso l’Alto, occorre l’uscita verso l’altro, la cura dei fratelli. In fondo lo Scriba conosce molto bene la Scrittura, infatti ne cita due passaggi:
“Praticare la giustizia e l’equità per il Signore vale più di un sacrificio” (Pro 21, 3)
“Voglio l’amore – dice Dio – e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti” (Os 6, 6; cfr. Mt 9, 13; 12, 7).