Lc 1, 1-4; 4, 14-21
Dio ha un sogno, che ‘i poveri siano fatti oggetto di attenzione; i prigionieri siano messi in libertà; i ciechi riacquistino la vista; gli oppressi conoscano la libertà, e la storia conosca la possibilità di una ri-creazione’. Gesù è l’uomo che può dire: “in me – oggi – il sogno di Dio s’è fatto realtà” (cfr. v. 21). Gesù è stato l’uomo che ha fatto della sua vita una pro-esistenza, un vivere perché l’altro tornasse a vivere. Ha gettato luce nelle tenebre, ha abitato il male cospargendovi il bene, ha compiuto gesti divini perché la vita tornasse ad essere umana. Egli non è solo il sogno di Dio che si compie, ma in questa sua piena umanità si è rivelata la piena divinità.
Amando ci si accresce in umanità manifestando in noi ciò che chiamiamo divinità in quanto Dio è solo Amore. È come se Dio emergesse laddove si ama e in colui che ama. Siamo gravidi di Dio e lo partoriremo nella misura in cui ci prenderemo cura di qualcuno, dell’uomo, dell’animale e del creato.
«La divinità si incontra quando l’umanità diventa così integra e profonda, quando si vede una persona senza difese e senza potere che è capace di darsi totalmente. Questo è il momento in cui il Gesù umano ci apre gli occhi a tutto ciò che significa Dio e ci permette di vedere tutto ciò che Dio è. Non è attraverso il divino che noi sperimentiamo l’umano; piuttosto il contrario, è dall’interno dell’umanità che sperimentiamo il divino» (John Spong).
Dio nei riguardi di questo mondo non può farci nulla. O meglio, ha già fatto tutto all’inizio, ponendo nella creazione stessa – e in noi – sé stesso, il principio del bene e di vita che ora deve essere fatto emergere e portato a compimento grazie alla nostra azione.
Il fatto per noi umani è diventare responsabili, introducendo nel vasto terreno della storia il seme del bene, una sorte di antidoto all’oscurità, che per quanto piccolo, sarà sempre in grado di sprigionare quell’energia infinita, creatrice e vivificante. E allora tutta la pasta sarà lievitata.
«A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi» (Etty Hillesum).