Gv 13, 31-33a.34-35
«Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”».
Il tradimento, il massimo del male subìto, Gesù lo fa coincidere col massimo della gloria. Il buio che colpisce Gesù, diventa possibilità di manifestare la luce, la stoffa di cui è fatto l’Amore, la divinità.
L’amore riporta la vittoria quando viene ferito.
Le nostre fragilità, limiti, fallimenti, il male invincibile che ci accompagna possono diventare – se solo lo volessimo – il luogo della manifestazione della gloria di Dio, della ri-creazione, dell’inizio di qualcosa di nuovo e inaudito.
«Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» ci ricorda Paolo (2Cor 12, 9s.).
Sulla croce abbiamo la manifestazione massima dell’essenza dell’Amore; lassù viene in qualche modo rivelato il nome stesso del divino, la sua stessa sostanza.
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (v. 34). La novità di questo comandamento sta nel far perdere a questo l’aspetto di legge. Con Gesù s’è chiusa l’epoca dell’osservanza di leggi sterili, e s’è aperta la possibilità di vivere una vita nuova, attraverso il bene vicendevole, in ultima analisi la possibilità di fare esperienza del divino.
Le leggi servono perché possiamo arrivare a farne a meno.
Gesù non propone nuove esigenze, altri imperativi etici, pesi insopportabili da portare, ma elargisce un dono.
Infatti l’amore non obbliga mai, dona. E se ‘comanda’ qualcosa prima lo concede.
«Donami o Dio ciò che mi comandi, e poi comandami ciò che vuoi» (Agostino).