OMELIA Solennità di Pentecoste. Anno C

Gv 14, 15-16.23b-26

«Fare appello allo Spirito Santo vuol dire fare appello alla libertà della coscienza perché la punta alta della coscienza è la punta alta su cui batte il raggio dello Spirito. Per questo lo zelo delle istituzioni è nel coprire tutte le punte perché non appena la coscienza si illumina si scompagina un ordine esistente e il futuro irrompe. Ecco perché le istituzioni sacre hanno perseguitato i profeti; esse li hanno temuti, a cominciare da Gesù» (Ernesto Balducci).
Ogni istituzione, religiosa o laica che sia, ha sempre temuto che le persone agissero ‘secondo coscienza’, prediligendo persone mute, obbedienti ed allineate all’autorità costituita, zittendo le voci del dissenso, contrarie al ‘è bene così’ o del ‘s’è sempre fatto così’.
Ogni sistema di potere, dai tempi della Torre di Babele ha auspicato che i propri sudditi parlassero tutti la medesima lingua – quella del ‘capo’ – nella speranza che poi agissero anche nel medesimo modo.
Lo Spirito di Dio – insegna Gesù – deve soffiare sempre più forte, dove vuole, scombinando le carte e facendo sì che ciascuno parli finalmente la propria lingua, e agisca secondo coscienza.
È interessante notare come nel vangelo Gesù guarisca numerose persone mute. Mi piace pensare che siano state quelle zittite perché non allineate e obbedienti all’establishment di turno. Zittite chissà da quando da genitori, educatori, superiori perché ritenute non interessanti, banali, fuori luogo, inadeguate. Gesù quando parlava con le persone deve aver avuto la meravigliosa capacità di infondere in tutte loro la fiducia di poter aprire finalmente bocca, di convincerle a parlare perché anche loro avevano qualcosa di bello, di interessante e di unico da dire.
Lo Spirito di Dio soffia, sempre, e comunque, indipendente da chi detiene il potere. E crea unità in un’umanità formata da genti diverse, religioni diverse, esperienze diverse in quanto ciascuno è portatore di verità, di bellezza e fecondità, non fosse altro perché unico e irripetibile.
Il nostro compito di cristiani non è far sì che le varie ‘lingue’ delle donne e degli uomini del nostro tempo riconoscano il primato della nostra di lingua –ritenuta vera e indefettibile – ma far di tutto perché ogni diversità venga affermata e difesa affinché un’umanità più umana possa edificarsi, fondata sulla logica della pace, della cura e della condivisione.