Lc 10, 25-37
“Ciò che distingue all’origine, il Samaritano dagli altri due personaggi, il sacerdote e il levita, che vedono l’uomo ferito e abbandonato sul ciglio della strada e non si fermano a soccorrerlo, è il fatto che, nella parabola, il sacerdote e il levita non sono uomini della strada. Ignorando la concretezza e la complessità della strada la usano solo come strumento per recarsi dall’abitazione al tempio e dal tempio all’abitazione. Essi, e non il Samaritano, sono buoni” (G. Franzoni).
Il ‘buono e il giusto’ è l’ottemperante, colui che pur di salvaguardare la Legge del suo Dio è disposto a trascurare il bene dovuto all’essere umano.
È colui che conosce il Tempio e le sue liturgie ma disconosce la strada e i suoi frequentatori. Tra i proverbi popolari, deposito ambiguo di ogni conservatorismo, la definizione della persona virtuosa è “tutto casa e chiesa”, mentre per i peccatori si parlerà di “uomo da marciapiede” o di “donna di strada”. La strada, o cammino che sia, nei grandi racconti che hanno nutrito la fantasia dell’umanità rischia di essere sempre uno strumento che conduce da qualche parte e non una espansione dello spazio per connettere realtà diverse.
Gesù è l’uomo che cammina (Ch. Bobin), che vive sulla strada non avendo ‘luogo dove posare il capo’ (Mt 8, 20). E qui si ferma dinanzi chiunque abbia necessità di essere rialzato, curato, riabilitato alla propria piena dignità.
E così ogni suo discepolo, chiamato ad essere ‘compassionevole’ e non buono, e tanto meno osservante. Perché in fondo “del Samaritano non conosciamo i precedenti; era anche lui un assassino in fuga o era un onesto mercante che tornava da un viaggio di affari? Ma la sua divisa morale è probabilmente indifferente rispetto all’atto di compassione compiuto per cui è stato portato come paradigma di salvezza. Fermandosi accanto al percosso ha corso molti rischi, forse anche quello di essere un giorno rimproverato persino dal suo beneficato, risentito per il fatto di essere stato soccorso da un impuro, ma ha creato la misura di un atto di salvezza non derivante da un ruolo di salvatore” (G. Franzoni).