Lc 10, 38-42
Noi ci affanniamo e ci agitiamo per molte cose, fiduciosi che a questo darsi tanto da fare corrisponda un di più di vita.
Ci affanniamo e agitiamo per un’infinità di cose che presto o tardi mostreranno la loro inconsistenza, lasciandoci l’amara sensazione di esserci aggrappati al nulla, al vapore.
«Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina sé stesso?» (Lc 9, 25). Guadagniamo il mondo, ossia l’impermanente, il transeunte, l’inconsistente. Investiamo tempo ed energia su ciò che in ogni momento potrebbe mutarsi in nulla, mentre ciò che conta e rimane è il ‘sé stesso’, la ‘propria essenza’, il vero Sé, ma che se non viene coltivato rischia d’essere disconosciuto.
La questione è sempre e solo una: prendersi cura della propria anima, del proprio nucleo vitale, di ciò che in qualche modo ci definisce, e che ‘non ci verrà tolto’ (v. 42bis).
È qui che dovremmo compiere un passaggio di soglia: dedicarci a Ciò.
Il resto per quanto bello, grande, utile sarà sempre ‘vanità’ dice il Qoèlet, vapore, inconsistenza. Alito s’un vetro.
Il vangelo di oggi mi pare essere un invito a ‘stare’, essere radicati nella parte più profonda di noi che è la nostra parte di divino; a diventare consapevoli che siamo manifestazione spazio-temporale di ciò che chiamiamo Dio e che quando il nostro bios, fatto di spazio e tempo si dileguerà quello che rimarrà di noi non sarà altro che il Tutto di cui siamo sempre stati partecipi e quindi ciò che non ci verrà tolto. L’inganno è aggrapparci agitandoci al bios, al desiderio, ai pensieri, alla ragione che per quanto realtà bella, forte e promettente resta comunque sempre destinato a sciogliersi come neve al sole.