OMELIA III domenica di Quaresima. Anno A

Gv 4, 5-42

Siamo tutti rabdomanti in cerca di una sorgente che ci disseti, noi assetati da morire.
Noi tentati di continuo a credere che quest’acqua sia qua e là, una relazione o una professione, un oggetto o una religione, l’io o un dio. Per poi svegliarci dal sonno, con l’arsura in gola e l’amaro in bocca per aver confuso il sogno con la realtà.
Camminiamo verso pozze d’acqua per poi costatare che è solo un miraggio.
L’acqua che disseta non sta né a Gerusalemme né sul monte Garizim, dice Gesù. Ciò che chiamiamo Dio non sta né qua né là, perché egli non è né questo né quello. Non un sostantivo, tanto meno un nome proprio di persona. Si potrebbe parlare – con una metafora – di verbo. Azione; ciò che anima.
Gesù parla di Spirito e verità. Il Mistero si rivela come vita e fecondità, forza che manda avanti il mondo, energia che fa evolvere l’Universo. In tutto Ciò si fa esperienza del divino. E sarà entrando in contatto con la propria sorgente interiore e aiutando il mondo a venire alla luce in questa sua drammatica gestazione che la nostra sete si placherà. E vivendo appieno che ci si disseta.
L’Assoluto (letteralmente ‘ciò che è slegato da’) sarà sempre oltre ogni forma di religione storica, e ogni pretesa d’impossessarsene. “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28); noi esseri umani ci muoviamo in un ‘campo divino’ di cui siamo solo una tra le sconfinate possibili manifestazioni.
Le religioni passano, e con esse tutto il loro armamentario cultuale, rituale e dogmatico; ciò che rimarrà sarà lo Spirito, l’acqua viva appunto (v. 10) che sgorga dalla nostra sorgente interiore, che è da sempre e che per sempre sarà, perché la Vita non ha mai avuto origine e non avrà mai fine. Si trasforma.
Questa ‘verità’, fa il paio con libertà (cfr. Gv 8, 32), sempre «pronta a prendere per mano ciascuno di noi affinché diventi come Dio, una persona che vive in libertà, fondata nell’amore, dipendente in quanto creatura, ma chiamata all’infinità» (Eugen Drewermann).