Mc 1, 12-15
«E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (v. 12).
Prima o poi la Vita ci sospingerà nel deserto. Laddove ogni cosa perderà di significato, dove mancheranno punti di riferimento e non ci sarà altro che vuoto. Dove perderemo tutto, e percepiremo l’inconsistenza di quel mondo verso cui abbiamo riposto tante speranze.
Una cosa è certa: il deserto è luogo di morte. Ma di una morte necessaria, trasformatrice. Quella dell’io.
Rinunciare all’io è in fondo un gioioso rito funebre: morto come qualcuno rinasco come nessuno.
Morendo a me stesso m’apro all’Amore che sono.
Solo una cosa sarà richiesta in quello stato esistenziale: stare! Una volta nel deserto non è dato disertare.
Dentro un uragano esiste un punto di pace, di quiete, in cui niente si muove. Bisogna solamente non fuggire, avere il coraggio di restare lì, resistere e trovare quel punto. Perché se lo si trova la vita si rovescia, e quella situazione nella quale sentivamo di perderci, in realtà ci permetterà di ritrovarci, ma in un luogo diverso, con un punto di vista nuovo.
“Quando vi ritrovate con le spalle al muro, rimanete immobili e mettete radici come gli alberi, affinché da una fonte più profonda non arriva la chiarezza che vi permette di vedere oltre quel muro” (Carl Gustav Jung).
Gesù nel vangelo di oggi in questo deserto ci sta quaranta giorni, un tempo simbolico, completo, necessario. E lì si trasforma, matura tanto da divenire Uno col mondo degli angeli e con quello delle bestie selvatiche, ossia senza separazione, la medesima esperienza che vivrà san Francesco e tanti altri personaggi trasformati dalla via del distacco.
Quando impareremo a stare con le nostre ‘bestie selvatiche’, quelle interiori, potremo avere dalla nostra parte il Cielo di Dio. Infatti è dando un nome, abbracciando, addomesticando – senza il bisogno di uccidere – i nostri mostri interiori, che possiamo fare esperienza dell’Altrove.
«Se i miei demoni mi lasciano, temo che anche i miei angeli se ne andranno» (Rainer Maria Rilke).
«Nella vita ho raggiunto la certezza che le catastrofi servono a evitarci il peggio. E il peggio è proprio aver trascorso la vita senza naufragi, è essere sempre rimasti alla superficie delle cose. Non essere mai stato scaraventato in un’altra dimensione. L’autunno, spogliando i rami, lascia vedere il cielo». (Christiane Singer)
Il deserto, la crisi, una vita interiore adulta, non contribuirà a cambiare il mondo in cui ci si trova, ma trasformerà noi, i nostri occhi e il nostro cuore per vedere e percepire quel mondo in maniera diversa. Abitabile e possibile.