Gv 6, 41-51
«Chi crede ha la vita eterna”»;
«Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno».
‘Credere’ non è aderire intellettualmente ad una verità, o limitarsi a professarla con la bocca: «Non chi mi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei cieli» (Mt 7, 21).
“Vita eterna” poi non significa ‘vita oltre la morte’, bensì ‘vita piena, compiuta, realizzata’ nel qui ed ora dell’esistenza, una qualità di vita così alta capace di vincere anche la morte.
Il ‘pane’ infine, è simbolo della vita, per cui con ‘mangiare la mia carne’ Gesù non invita a nutrirsi di lui, ma di far proprio il suo stile di vita, portare all’estreme conseguenze la propria umanità: un vivere ‘da Dio’ insomma, perché solo Dio poteva essere così umano come Gesù.
Mangiare la sua carne significa fare della propria un dono, attraverso la compassione, la benevolenza, la pratica d’una giustizia giusta nei confronti d’ogni vita. La questione in fondo è domandarsi di quale ‘pane’ ci sfamiamo quotidianamente per il compimento del nostro essere. Di quale pane abbiamo fame, di quale pane ci nutriamo per portarci a compimento?
Torna qui un tema caro nel vangelo di Gesù: la nostra fame esistenziale si estingue non tanto nel nutrirsi alla propria piccola mangiatoia, ma nel provvedere alla fame degli altri.