Gv 6, 51-58
Mi capita spesso di ascoltare madri – in realtà più nonne – preoccupate le prime, angosciate le seconde – lamentarsi riguardo figli e nipoti lontani ormai dalla pratica religiosa, disertando Messe domenicale e snobbando serenamente sacramenti e addentellati.
Poche volte invece m’è capitato d’ascoltare le medesime madri e nonne domandarsi quale possa essere l’onestà profusa da figli e nipoti nei luoghi di lavoro, lo stile assunto nella convivenza civile; se il patrimonio accumulato sia solo per il proprio arricchimento personale, o piuttosto mezzo di condivisione per creare nuova ricchezza a beneficio di tutti; se le banche da loro scelte siano colluse o meno col commercio di armi, o se alle prossime elezioni appoggeranno partiti razzisti e xenofobi perché stanchi di orde d’immigrati immaginati causa dei molti crimini di questo nostro paese….
Perché tanta angoscia se le ‘nuove generazioni’ non si nutrono più alla mensa eucaristica del ‘corpo e sangue di nostro Signore’ nascosto in un’ostia, e così poca ‘attenzione’ nel vedere ‘la carne e il sangue’ agonizzante e straziata in luoghi di guerra, in infernali centri di accoglienza, nelle carceri sovraffollate, nei bambini abusati, nelle donne maltrattate, negli psichiatrici dimenticati, negli operai derubati, nei precari maltrattati…
Ecco cosa Gesù intendeva col dire ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna’: entrare in una relazione viva con lui attraverso ogni relazione che possiamo vivere nel nostro quotidiano: toccare, guardare, curarsi della ‘carne e del sangue’ di tutti i poveri cristi con cui egli stesso ha voluto identificarsi, perché ancora una volta dagli altari delle nostre chiese egli continua a gridarci che «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).
Qui si verifica in ultima analisi la possibilità di vivere questa nostra breve vita in maniera eterna, ossia piena e realizzata.