Lc 6, 39-45
«Ogni albero si riconosce dal suo frutto» (v. 44).
Occorre vivere come le radici degli alberi, avendo l’ardire di riposare nella solitudine, nel silenzio e nel buio della propria terra interiore. E lì stare. Radicati.
Troppo spesso viviamo da sradicati. Ci manca il contatto silenzioso con noi stessi, con la nostra interiorità e profondità, trovandoci alla fine soli e infecondi. “Dov’è la vita che abbiamo perduta vivendo?” si domanda T.S. Eliot.
“Non vi è albero cattivo che produca un frutto buono” ci ricorda il vangelo di oggi.
Non è esclusiva dell’essere religioso, credente, magari cristiano di dare ‘frutti buoni’. Ciò che conta è il frutto, è il bene seminato, l’amore donato, la vita condivisa, la cura prestata. E ciò è sufficiente per mostrare che l’albero da cui proviene è esso stesso buono.
Una coppia irregolare, chi vive un amore ‘diverso’, un senza dio, il seguace di una tradizione spirituale che non sia quella cristiana cesseranno d’essere agli occhi di alcuni pseudo-religiosi, ‘alberi cattivi’ alla prova dei fatti, proprio per quell’amore che sanno donare e donarsi; e se questo amore sarà capace di trasformare, fecondare una vita, significherà che l’albero da cui quel bene è scaturito, è di per sé buono, senza se e senza ma, con radici talmente profonde d’attingere direttamente al cuore stesso del Mistero insondabile.
Ma occorre stare attenti, perché può accadere il contrario, ossia ritenersi alberi buoni solo perché appartenenti al sottobosco della consuetudine religiosa, cresciuti all’ombra delle pie pratiche di pietà, e dell’osservanza di sterili precetti, per poi scoprirsi dispensatori di frutti acerbi, cattivi e velenosi. E magari, alla fine della vita, ritrovarsi fatti solo di spine e rovi (cfr. v.44). Ma questo potrebbe comunque rivelarsi una benedizione: se prendessimo veramente coscienza d’essere fatti di spine, potremmo ancora essere posti come corona in testa al Cristo crocifisso (cfr. Mt 15, 17), realizzando così il detto di Isaia: «Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio» (Is 62, 3). Ed essere finalmente guariti dalla nostra presunzione, ritrovandoci nell’abbraccio di un Amore che tutto copre (1Cor 13, 7) e lasciandosi accarezzare da una misericordia che rigenera e manda avanti la vita.