«Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
5Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (Lc 3, 1-6)
Nel nostro brano si nominano sette grandi personaggi che hanno fatto la storia. Grandi uomini del potere temporale e religioso.
Sette, il numero della completezza, come se la storia possa dirsi ‘completa’, per l’opera dei potenti…
Ma il testo si premura a dire, che in tutto questo sfolgorio umano, lo sguardo di Dio si posa invece su Giovanni Battista, personaggio improbabile, che seppur figlio di un sacerdote di Gerusalemme, non segue le orme del padre e vaga nel deserto, facendo esperienza di vuoto e di silenzio.
Dio per manifestare se stesso, predilige luoghi vuoti e uomini silenziosi. Detto in altri termini, l’uomo manifesta il divino che ha in sé, attraverso il proprio vuoto e abitando il silenzio. Occorre precisare che qui vuoto non significa assenza, bensì ‘al di là’: oltre i segni del conosciuto, delle idee verificate, delle immagini pensate, dei pensieri costituiti. Il vuoto è in fondo una modalità di osservazione della realtà: silenziosa, intensa, lucida, senza idee, senza pensieri distinti, senza parole e senza forme.
Il deserto è un non-luogo, solo esperienza esistenziale, in cui tutto è ridotto a silenzio, e quindi a possibilità di ascolto. Il Battista battezza, invita cioè alla consapevolezza di sé. Chiede il coraggio di scendere (simboleggiato con l’immersione nell’acqua) nel proprio mondo interiore, per poter così salire alla vita piena, alla possibilità di vivere un principio di rinascita (emersione dall’acqua).
È in questo processo di morte-rinascita, che si sperimenterà il ‘perdono dei peccati’ (v. 3). Se si compie questo drammatico viaggio interiore, se si frequenta il deserto in noi stessi perché ormai caduto ogni appiglio in cui si sperava la salvezza – immagini, desideri, illusioni e religioni – allora si giungerà al contatto col Dio in noi, facendo così esperienza di quell’Amore capace di frantumare il peccato, ossia la propria ‘sconfitta’ esistenziale e per questo esiziale.
Sarà quello il momento in cui ‘ogni uomo vedrà la salvezza di Dio’ (v. 6).
È molto bello che ora siamo chiamati a ‘vedere’ la salvezza, e non a ‘farla’. ‘Siamo’ salvati, non ‘dobbiamo’ salvarci. L’amore raggiunge sempre l’amato, ovunque questo si trovi, fosse anche all’inferno, e sempre in modo gratuito. E l’amore ci raggiungerà come evento di bellezza, appunto da vedere, da accogliere, splendore di cui godere.
Ed è ancora più bello che il testo dica: ogni uomo potrà vedere questa salvezza. Proprio ogni uomo, di ogni o nessuna religione, di ogni latitudine e tempo, e non solo i cristiani, i battezzati e i giusti.
E il Natale è proprio la salvezza fattasi bellezza per ogni uomo che anela a rinascere. Dal giorno in cui Dio s’è fatto carne, ogni bellezza porta in sé un principio salvifico, una capacità di vincere il male, di dissolvere le tenebre.
In questo momento storico dove la bruttura del male pare pervadere ogni cosa, siamo chiamati a vedere la salvezza di Dio, che continuamente opera nel bene e nel bello, che in definitiva coincidono, in quanto ogni atto di bene è splendore di bellezza. E piuttosto che lasciarci ammorbare da paure e veleni di morte, di rintanarsi in sterili solitudini, poniamo atti di bene, facciamo esperienze di bellezza, rifuggiamo i palazzi dei potenti sperimentando così, all’alba di ogni giorno, la salvezza che viene a visitarci dall’altro come sole che sorge (cfr. Lc 1, 78).