«[Gesù] partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6aE si meravigliava della loro incredulità. (Mc 6, 1-6)
Chi sono io? Il punto d’arrivo di sette milioni di anni di evoluzione; il mio carattere, la mia individualità, il mio modo di pormi, la mia personalità risentono di una storia precedente quasi infinita, di cui io non sono responsabile. Sono l’educazione ricevuta, il DNA che mi costituisce, le ferite subite, gli sbagli dei genitori, insegnanti, educatori impressi su di me, e compiuti da me stesso. Il risultato di amori falliti. Io sono in fondo ciò che non avrei voluto essere, avessi solo potuto scegliere.
Ma non ci si sceglie; è già molto potersi accettare.
Eppure so, che io non mi risolvo in tutto questo. Non sono solo il risultato di addizioni malate e inconsapevoli, ma anche una Presenza più profonda, che è mescolata nel mio essere più recondito. Sono l’Amore che si è mischiato al mio sangue, lo Spirito che circola nelle mie vene.
Il ‘Dio in me’ sposerà sempre le conseguenze delle mie erranze. Ama tutti gli esiti delle mie scelte sbagliate (senza per questo approvarle). Ciò significa che dopo il male compiuto, la scelta imperfetta, il peccato commesso, l’Amore non abbandonerà, ma si schiererà sempre dalla mia parte, insufflando in me un Vento di ricreazione, perché io possa rinascere dalle mie stesse ceneri.
Dio è alleato con me contro il potere devastante del male; non mi condannerà mai perché ho sbagliato, ma alla fine frantumerà il male da me compiuto recuperando me che l’ho commesso.
«Lì non poteva fare nessun prodigio…» (v. 5).
Certo, se non si crede al potere dell’Amore, questo non potrà mai manifestarsi.
Fede significa dar credito all’azione del bene in noi. Vuol dire lasciar libero Dio di essere l’insperato, l’amore folle che è. Significa accoglierlo nelle nostre storie malate, e credere che lui sta realizzando il suo sogno: farle diventare parte di sé.
Fede vuol dire che per quanto la nostra umanità possa essere malata, ferita, limitata e bacata, lui ha il potere non di cambiarla, ma di abitarla. E se il Vivente abita la mia vita così com’è, allora «anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me» (Sal 23, 4).