«Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò .39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. 41Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta“» (Lc 10, 38-42)
Maria e Marta. Due sorelle vivono insieme a Betania, in una casa dove Gesù è spesso ospite.
Marta è tutta indaffarata. Per lei la presenza di Gesù in casa sua, è cosa normale, quasi scontata. Quali novità, quali sorprese può ancora riservare quest’uomo dopo anni di amicizia? L’avrà ascoltato mille volte, e un’idea precisa del suo amico se l’è senz’altro fatta.
Maria è ai piedi di Gesù, in ascolto. Attenta, come quella visita fosse la prima, come se il parlare del Maestro avesse ancora il sigillo della novità; attenta di un’attenzione che non fa cadere una sola parola perché ritenuta rugiada in grado di far fiorire il deserto. Per lei quest’uomo di Nazareth, dopo anni, rimane ospite e forestiero, volto sempre ‘altro’, presenza sempre nuova, capace di apportare da altrove parole imprevedibili.
L’amore non è mai scontato. Quando l’amato diverrà prevedibile, allora cesserà di essere amore e la vita diventerà routine. Amare significa rimanere aperti alla novità dell’altro, alla sua imprevedibilità appunto, pur scorgendo come solito il volto dell’amato.
Nella Bibbia il nome di Dio è ‘alterità’, per questo si fa accanto all’uomo sempre come forestiero. Nella prima lettura di oggi Abramo accoglie il suo Dio sotto le sembianze di tre stranieri sconosciuti che gli fanno visita. Abramo accoglie il suo Dio lavando loro i piedi, saziandoli, dissetandoli e ascoltandoli. Loro se ne vanno e il vecchio e sterile Abramo diventa padre.
Aprirsi al Dio nella sua totale oggettività – questa è la fede – è promessa di fecondità.
Nell’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 13ss.), Gesù risorto si fa presente proprio come uno straniero, tanto che i due diranno: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?».
A quale Dio ci relazioniamo? All’amicone Gesù, sempre di casa, così conosciuto da diventar scontato, così prevedibile da non lasciargli più spazio di parola e di azione? Oppure il Dio sempre e comunque ‘totalmente altro’, forestiero imprevedibile e mistero insondabile?
Il vero Dio sarà sempre per noi un Dio sconosciuto. Quello conosciuto, definito, dogmatico, racchiuso in una miriade di articoli di un Catechismo, si trasformerà ben presto in un piccolo dio – chiamasi idolo – che servirà solo a giustificare direttive e pesi da imporre sulle spalle degli uomini. Un piccolo dio cui non si presterà più ascolto e non meriterà più dargli accoglienza. Agostino dice che ‘quando arriverai a farti un’idea di Dio, stai certo che quello non è più Dio’; per questo la grande preghiera di Meister Eckhart si riduceva a: «Dio, liberami da Dio».
Che la nostra religiosità non ci sclerotizzi – come simbolicamente reso nella figura di Marta – in faccendieri di Dio (e per i preti in ‘funzionari di Dio’), riducendo quest’ultimo ad una sorta di tappabuchi per dirla con Bonhoeffer.
«Gesù è come una stoffa pregiata che si accomoda alla mano di chi la tocca. Ognuno l’ha toccata e le ha dato la sua forma» (Giovanni di Trasburgo).
Se ci facciamo l’idea di conoscere già a priori il suo pensiero, la sua parola, la sua azione, perché ritenutici come Marta suoi assidui frequentatori, uccidiamo lo Spirito che per definizione è sempre altro, e capace di soffiare dove e come vuole!
Dio non è mai dove pensiamo sia!
Il Gesù storico era l’uomo talmente conosciuto che anche i demoni sapevano della sua identità: «Io so chi tu sei: il santo di Dio» dice un demonio in Mc 1, 24, ma il Dio trascendente ritorna a noi sempre come straniero, presenza di cui si farà di continuo molta fatica a riconoscere, tanto che Maria di Magdala lo confonderà con un giardiniere e i discepoli con un fantasma.
Dio si fa accanto ancora oggi attraverso una moltitudine di volti sconosciuti, di storie improbabili, di vite ‘altre, di esperienze spirituali e religiose diverse.
Se siamo Marta, tutti intenti alle faccende di Dio, ci perdiamo l’appuntamento con lui; non lo lasceremo parlare, manifestare, lo bloccheremo a priori, forti della nostra presunta e presuntuosa conoscenza.
L’unico modo per arricchirci è vivere come Maria: aperti, accoglienti, senza pregiudizi verso nessuno perché è lì che ci raggiunge la Parola di Dio. I discepoli di Emmaus hanno il cuore trasformato perché si sono messi ad ascoltare il forestiero che camminava con loro.
Chi ci apporta ricchezza non è chi ci assomiglia, e neppure chi presumiamo di conoscere benissimo, i prevedibili, quelli che parlano e pensano come noi. Non si crescerà mai accogliendo quelli fatti a nostra immagine e somiglianza, ma l’altro, il diverso, il lontano che apporta ricchezze, esperienze, un mondo totalmente altro.
Il brano di oggi ci educa a convertirci insomma. Da una parte attraverso il lento cammino che ci conduce ad accostare Dio senza preclusioni dogmatiche, definizioni catechistiche, pregiudizi religiosi: sarebbe un sudario sul volto di Dio, in quanto il nostro ‘conosciuto’ su Dio è preclusione al suo farsi conoscere. Dall’altra ad accostare gli uomini e le donne del nostro tempo, lo straniero insomma, senza pregiudizi, nella consapevolezza che lo straniero è sacramento di Dio. Balducci scrive che occorre vivere un’«apertura al barbaro: perché il barbaro è il volto di Dio nel nostro orizzonte».