Omelia 20a Domenica. Tempo Ordinario. Anno C

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!  Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre;  si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera». Lc 12, 49-53

Gesù non è mai stato pacifista e tanto meno un ‘non-violento’. Siamo stati noi a trasformarlo spesso (complice una certa insana cinematografia) in una sorta di figlio dei fiori, in salsa hippy.

Gesù è stato un profeta, ossia un uomo che ha avuto sempre il coraggio della denuncia, della presa di posizione dinanzi all’affermarsi dell’ingiustizia e dell’ipocrisia, ossia ogni qualvolta il bene dell’uomo fosse minacciato da poteri forti e iniqui. Ha alzato la voce, quando in questione vi era la dignità delle persone, invitando i suoi a fare altrettanto (Mt 10, 27).

Gesù non ha mai cercato la diplomazia o il parlare politically correct al fine di non urtare la sensibilità dei forti per paura di ritorsioni o di destabilizzare precari equilibri politici (Mt 23, 16ss.).

Non è mai entrato nei palazzi dei potenti se non come prigioniero con le mani legate (Gv 18, 24).

Gesù è il profeta che crea divisione, pur di vedere affermata la giustizia e la dignità dei poveri. Perché a un certo punto occorre decidersi da che parte stare. Quelli che stanno sempre al centro per paura di sbilanciarsi, i tiepidi, Dio – dice l’Apocalisse – li vomita (3, 16).

Gesù non ha mai amato i quieti, e tanto meno il quieto vivere, ma ha elevato l’inquietudine a cifra dell’umano. E come tutti i profeti, ha minacciato le false ideologie, le false teologie, le istituzioni tese a difendere il proprio prestigio.

Per Gesù ha sempre contato anzitutto l’uomo.

«Ci sono forme di pace che sono disordini costituiti, che spremono lacrime di disgraziati. Non è questa la pace che noi vogliamo perché essa giova soltanto alla malizia umana. Vogliamo una pace il cui nome più immediato e più caro è quello della fraternità effettiva tra gli uomini» (Balducci).

L’affermare la pace richiede il pungolo dell’inquietudine e la disponibilità a mettersi in gioco sino a dare la vita. Stare dalla parte di Dio e quindi dalla parte degli ultimi, chiederà di scegliere di rompere con un ordine costituito – civile o religioso che sia – e magari con la propria famiglia, con gli affetti più cari. È una questione di scelta. Accontentarsi nel proclamarsi pacifisti, gridando in ogni angolo ‘pace, pace’, non fa che perpetuare i conflitti profondi, aiutando la permanenza delle sopraffazioni.

Presumere di essere con Dio  ma di fatto non stare e non lottare dalla parte dei poveri e dei disgraziati di questa terra, non è certo cristianesimo, e Lui stesso nell’ultimo giorno negherà per questo di conoscerci: «In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!» (Mt 7, 22).

Mi chiedo quanto siamo quieti, noi cristiani, dinanzi allo stillicidio giornaliero dell’ingiustizia cui sono vittima i più poveri di questa terra rimanendo inermi spettatori. Quanto continua ad andarci bene una commistione scandalosa tra stato e Chiesa, in virtù di un Concordato che obbliga spesso la gerarchia ecclesiastica ad inchinarsi a scelte statali sciagurate solo per continuare a vedere affermati e preservati i propri vantaggi e privilegi.

«Quello che a noi manca è la capacità di indignarsi quando la giustizia giace prostrata sulle strade e quando la menzogna furoreggia sulla faccia della Terra, una santa collera contro tutto ciò che nel mondo è ingiusto. La collera contro il saccheggio della Terra del Signore e la distruzione del mondo di Dio, la collera perché i bambini devono morire di fame mentre le tavole dei ricchi si piegano sotto il peso delle vivande, la collera per l’indulgenza di tanti verso la Chiesa, che non si avvede di poter vivere solo grazie alla verità e ignora che la nostra paura sarà la morte di tutti noi. Quello che ci è necessario è di perseguire senza sosta quella temerarietà che saprà lanciare la sua sfida e di cercare di cambiare la storia umana finché essa giunga a conformarsi alle norme del Regno. E ricordatevi, i simboli della Chiesa cristiana sono sempre stati il leone, l’agnello, la colomba e il pesce, ma mai il camaleonte! E ricordate anche questo: la Chiesa è il popolo che Dio si è scelto, ma coloro che sono scelti saranno riconosciuti in base alle loro scelte» (Kaj Munk, 1898-1944)