«Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». 24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».
Tutto il Vangelo è rivelazione del segreto dell’esistenza.
Gesù attraverso la parola e l’opera afferma in cosa consiste la felicità dell’essere umano; ne abbiamo un bellissimo esempio nel brano del Vangelo di oggi dove ci viene raccontato che egli «cominciò a mostrare…» (v. 21) la via del compimento del cuore (e non ‘spiegare’, com’è tradotto dalla CEI, molto più restrittivo).
Cosa mostra? La necessità dell’amore: «doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto… e venire ucciso». La via della felicità è il “dovere dell’amore”. L’amore ti chiederà, prima o poi, di soffrire molto, conoscendo la morte del proprio io.
Non vi è altra via alla felicità, alla vita, alla pienezza se non quella scaturita dall’amore che sa andare “fino alla fine” (cfr. Gv 13, 1; Gv 12, 24). È vita risorta solo quella che passa nel crogiuolo dell’amore al fratello (cfr. 1Gv 3, 14).
Ma Pietro, e in fondo ciascuno di noi con lui, ha la segreta speranza che debba esistere un’altra via possibile alla felicità. Quella che necessita di passare dalla morte di sé è troppo ostica e in fondo impraticabile. Infatti, dice al suo amico Gesù: «questo non ti accadrà mai» (v. 22). Pietro sta impedendo alla vita di vivere, alla luce di risplendere, alla via di giungere alla meta. Sta chiedendo all’Amore di funzionare in altro modo, di percorrere un’altra strada, di non essere fecondo, insomma di non essere Amore.
Questo tentativo di impedire all’altro di essere se stesso, e quindi di compiersi, Pietro lo porrà in atto un’altra volta nel contesto dell’ultima cena, quando dirà a Gesù: «tu non mi laverai mai i piedi» (Gv 13, 8). Ma come si può dire alla luce di non illuminare, all’acqua di non bagnare, al fuoco di non scaldare? All’Amore di non amare? L’amore se non ama muore.
Pietro, per questo suo non capire la via assurda dell’amore, viene chiamato satana (v. 23), colui che da sempre tenta di impedire all’essere di essere se stesso e all’amore di manifestarsi come tale. Satana è quella mentalità che pensa che vi possano essere altre strade per la trasfigurazione, il compimento, la realizzazione della propria vita. Gesù stesso – ci ricorda il Vangelo – ebbe a combattere con quella mentalità satanica che promette di diventare figlio senza la necessità di farsi fratello. Si pensi all’episodio delle tentazioni nel deserto (Mt 4, 1ss.) quando satana insinuò in Gesù la possibilità di vivere il battesimo appena ricevuto, e quindi di compiersi in pienezza come Figlio di Dio, fuori dall’amore, giocandosi nella logica del potere, dell’avere e dell’apparire. Oppure quando sulla croce satana, ancora – e questa volta incarnato nella folla – gli grida addosso: «Se tu sei Figlio di Dio scendi dalla croce» (Mt 27, 40). Ma come poter essere Figlio di Dio se non attraverso l’amore crocifisso, ovvero senza farsi fratello di tutti i crocifissi della storia? Come poter fiorire alla vita senza che il seme dell’esistenza conosca il nascondimento e la morte? (cfr. Gv 12, 24).
Il Vangelo è continuo invito a cambiare il nostro pensiero su ciò che riteniamo necessario per giungere alla felicità. Le prime parole di Gesù, nel Vangelo di Marco, vanno proprio in questa direzione: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (1, 15), dove convertitevi va preso in senso letterale, cambiate mentalità, modo di pensare.
«Chi vorrà salvare la propria vita per causa mia, la troverà» (v. 25). Il primo movimento dell’uomo, il primo movente dell’agire dell’uomo è quello di ‘avere salva la vita’. Siamo umanamente spinti da uno spirito di conservazione.
Strutturalmente, ciascuno di noi crede di avere salva la vita attraverso le tre categorie prospettate da satana: il potere, l’avere e l’apparire, riassunti in ultima analisi in un accaparrarsi le cose, trattenerle nelle mani, nella speranza che si moltiplichino. Si pensa che per avere occorra guadagnare e conservare.
È curioso che la prima operazione aritmetica che s’impara da bambini è l’addizione. Il dramma è che anche da adulti riteniamo essere l’unica e l’essenziale per vivere. Addizionare e conservare. No, esiste anche un’altra operazione, quella che s’impara per ultima perché la più difficile, la divisione, che dinanzi al volto dell’altro si fa condivisione. Chi vive così, sperimenterà moltiplicazione di vita, cessando finalmente di sottrarla agli altri.
«Il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni» (v. 27). Il momento presente è quello in cui riceviamo la visita del Figlio dell’uomo; ogni momento è il momento del giudizio di Dio sulla nostra vita. È in questo momento che Dio dà a ciascuno secondo le sue azioni (e non renderà, com’è tradotto). E cosa può dare Dio se non se stesso, ovvero vita in pienezza, quella che è più forte anche della morte? Ecco cosa riceve continuamente colui che vive donando se stesso: vita in pienezza, ossia se stesso. Amando siamo restituiti a noi stessi, cessiamo con l’autodistruzione, impedendo così di scomparire, stupendoci di diventare eterni.