«Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”». (Mc 7, 31-37)
Gesù, si reca in pieno territorio pagano, la Decàpoli: egli si fa presente sempre nelle nostre zone di incredulità e di lontananza.
Qui gli viene condotto un sordomuto (v. 32), anche se nel testo originale si ha: ‘un sordo e malparlante’, un uomo che parla ma non dice nulla.
Viviamo in un mondo dove il parlare è un rumoreggiare, il dire uno sparlare, il comunicare un non-senso. Siamo immersi in un turbinio di parole che non dicono nulla e non aiutano a crescere, a maturare, a compierci. Per questo la vita diventa ‘assurda, etimologicamente dissonante, stonata.
Ora, il problema del vivere è che siamo sordi all’unica parola che, se ascoltata, sarebbe in grado di dare senso alla vita, di rivelare all’uomo la propria vera identità, e questa parola è quella di un Amore che ci dice: «Io ti amo così come sei, senza se e senza ma». E come il muto è tale perché non ode la parola che gli viene rivolta, una vita sorda a questo amore è una vita odiosa.
Il brano di oggi ci ricorda che il vangelo è il farmaco per guarire della nostra sordità, e di conseguenza da una vita assurda. La Parola di Dio – che mi dice di essere il figlio amato alla follia – diventa oggi per me logo-terapia, azione guaritrice delle mie parole e della mia vita.
«Effatà, apriti!», “vieni alla luce di te stesso. Rinasci”.
Sì, Dio mio, apri il mio cuore alla tua Parola di amore su di me, perché il mio cuore è fatto per questa Parola. E allora imparerò a parlare correttamente, ossia, la mia vita tornerà a dire qualcosa di sensato. Prima emettevo solo suoni e rumori; parole scorrette, destinate a divenire poi azioni: parole di potere, di dominio, di furbizia, di possesso, di inganni, di finzioni. Ora mi hai guarito l’orecchio, l’organo collegato al cuore, ora mi sento amato da te e finalmente ho una vita in grado di ‘parlare’, capace di prendersi cura, di raggiungere, di condividere, di abbracciare, di creare comunione, e darsi da fare per la pace e la giustizia.
Maria, nella tradizione orientale, è definita “la tutta orecchi”, infatti la maternità l’ha vissuta prima nell’orecchio e poi nel ventre. Ella è stata fecondata dall’orecchio, dice un antico Padre della Chiesa, Efrem il Siro. Ha ascoltato la Parola, ha partorito Gesù. L’uomo edificherà intorno a sé spazi di luce, nella misura in cui presterà orecchi alla parola fattasi Luce.
Da qui una considerazione molto semplice. Il vero problema dei genitori non è quello di partorire figli; la genitorialità infatti non risiede nella generazione, ma nell’ascolto dei propri figli; tutto si gioca nella relazione, l’accoglienza, l’affermazione dell’altro.
Generare non è ancora nulla. L’essenziale è illuminare una vita, farla rinascere attraverso il prendersene cura.