OMELIA 2a Domenica di Quaresima. Anno B

«Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. 9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti». (Mc 9, 2-10)

 

 

Nella fiaba di Cenerentola, la giovane donna al ballo (della vita) può recarvisi solo se indosserà splendidi abiti. Il racconto dice che questi abiti li riceverà da un uccello nel suo giardino. Ora il simbolo dell’uccello nei miti, rappresenta l’anima. È importante questo: non è questione di cambiare i propri abiti, per partecipare alla festa della vita, è sufficiente trasfigurarli. Fuori di metafora, la propria vita non va cambiata, ma accettata, amata e lentamente trasfigurata.

Non dobbiamo sognarci diversi, essere ‘altro’ per essere felici, ma accettare di compiere la lenta metamorfosi della nostra personalissima storia. Non c’è nulla di noi che meriti di essere gettato via. Neanche il peccato.

Il tutto avviene ‘sei giorni dopo’. Chiaro riferimento al sesto giorno della creazione, quando – secondo il mito di Genesi – l’uomo è stato messo al mondo. Creati al ‘sesto’, numero imperfetto per antonomasia nella Bibbia, per entrare nel ‘settimo’, il compimento, la pienezza dell’essere.

La vita è solo un cammino di trasfigurazione, di compimento del proprio essere: «La nascita non è la vita; è solo un’opportunità che ti viene data per creare la tua vita» (Osho).

L’esistenza è un interminabile processo di metamorfosi, di trasformazione come il bruco che giunto al termine della vita non conosce la morte, ma l’estasi di poter volare perché mutatosi in farfalla. Attraverso il principio dell’amore, divengo sempre più me stesso in un rinnovamento dell’uomo interiore, anche se il corpo biologico pare andare dalla parte opposta: «Per questo non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 4, 16).

La nostra vita non sta precipitando verso il buio della tomba, ma verso l’illuminazione di sé. La vita ci è data per poterci illuminare! “Sia la luce…”. Diventare luce, è questa la grande sfida che ci attende ogni mattino. Illuminarci per diventare uomini e donne completi.

Partecipe di questa avventura straordinaria, Pietro prende la parola dicendo: “È bello” (v. 5). È bello ‘essere qui’ (non stare qui), vivere questa vita che va espandendosi, dilatandosi , che è vera, perché profondamente mia!

 

«Questi è il figlio mio, ascoltatelo». Nella concezione semitica, figlio non è da intendersi tanto come ‘colui che è generato da’, ma ‘colui che assomiglia a’. Non si nasce figli di Dio, e non lo si diventa neppure col battesimo (con buona pace del Catechismo). Ci si costruisce come figli assomigliando sempre più a Dio Padre che è amore, misericordia e perdono (cfr. Lc 6, 35).

Gesù è il figlio in quanto rassomiglianza assoluta con Dio. È l’uomo che per via d’amore si è lentamente trasfigurato, e perciò conformato sempre più al Padre, tanto da essere riconosciuto come suo stesso figlio, e tanto da poter dire: «Chi vede me vede il Padre» (Gv 12, 45). Ora, questa vocazione altissima spetta pure a ciascuno di noi.