«Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. 4E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. 5Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. 6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: “Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”. Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”. 11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui». (Gv 2, 1-11)
«Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea…» (v. 1).
E noi siamo gli sposi e gli invitati.
Siamo chiamati alla felicità, al compimento dell’essere. Il nostro compito esistenziale è infatti passare dalla potenzialità del seme che siamo alla pianta bella e compiuta che possiamo diventare.
Giovanni ci sta dicendo che è finalmente giunto il momento in cui possiamo nascere la seconda volta, ossia risorgere a vita piena, qui ed ora, perché la vita è un continuo partorirsi. L’episodio infatti si compie il ‘terzo giorno’, il giorno della risurrezione.
Dobbiamo prendere consapevolezza che la vita può esaurirsi, possiamo spegnerci; possiamo ridurci a vivere un vita muta, che non dice nulla, cadendo in un non-senso e nell’assurdo. Si tratta della ‘mancanza di vino’ del brano. Il vino è simbolo della vita, l’energia, quell’amore che porta avanti la vita sostenendola dall’interno.
Senza questa energia, siamo solo ‘anfore di pietra vuote’, illudendosi magari che tramite il gioco – e giogo – della religione, fatta di riti e ammonizioni (le anfore erano lì per la ‘purificazione rituale…’ v. 6) si possa vivere un po’ meglio, migliorandosi un po’, sino alla prossima illusione.
Ma poi, nel più profondo di noi, si fa spazio una voce, di sapore dolce e materno: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (v. 5). Sarebbero sufficienti queste cinque parole a sopperire ad assurdi sproloqui propri d’improbabili apparizioni.
E cosa saremmo chiamati a fare per intraprendere la via alla felicità? «Riempite d’acqua le anfore» (v. 7), ossia semplicemente ‘vivere’ fino all’orlo, straripare di vita. Vivi in pienezza, senza lasciare nulla a chicchessia in termini di inutili e sterili sensi di colpa.
Riempi di vita la tua storia di divorziato risposato, di donna ferita da un aborto, tu che hai sbagliato, sei caduto e ti sei infangato; tu definito ‘irregolare’: ama, sii felice, partorisciti cominciando da ciò che sei, e farai esperienza della trasformazione. Non rimestare nel pantano del tuo passato, ma guarda l’orizzonte da cui può sorgere un sole nuovo. Nella Cana della nostra storia, si celebra l’unione tra la nostra povertà abissale e la sua ricchezza infinita. Tra il nostro peccato e la sua misericordia. Tra il nostro nulla e il suo abbraccio vivificante.
Dio non può cambiare la nostra vita, ma trasformarla sì: è acqua –l’elemento più semplice in natura – ad essere trasformata in vino. L’amore ama l’amato per ciò che è; l’amore non cambia l’amato, piuttosto è disponibile cambiare sé stesso per potersi fare accanto a chi ama. Abbiamo bisogno noi tutti di un amore che lasci tutto alla nostra libertà, e senza abbandonarci, ci faccia crescere in umanità, permettendoci di vivere tutto ciò che è tremendamente umano.
Abbiamo bisogno di incontrare una persona che col suo amore non si sostituisca a noi per affrontare la vita e neanche che ci chieda di cambiare, ma standoci accanto susciterà in noi il desiderio di farlo.