«Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Tu, chi sei?”. 20Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo”. 21Allora gli chiesero: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?”. “Non lo sono”, disse. “Sei tu il profeta?”. “No”, rispose. 22Gli dissero allora: “Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?”. 23Rispose:
“Io sono voce di uno che grida nel deserto:
Rendete diritta la via del Signore,
come disse il profeta Isaia”.
24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”. 26Giovanni rispose loro: “Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo”. 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando». (Gv 1, 19-34)
Il Vangelo di questa terza domenica di Avvento, ci presenta la bellissima figura di Giovanni Battista. E ce lo presenta non tanto nell’atto di battezzare, bensì in qualità di testimone. È infatti singolare l’insistenza del verbo testimoniare e del sostantivo testimonianza. Anzi, al v. 8 si dice: «doveva dare testimonianza».
Ma chi è il testimone, e cosa vuol dire testimoniare? Tutto ha origine con la verità.
Si può testimoniare solo la verità, quella di cui hai fatto esperienza, di cui sei stato testimone appunto. E quando t’imbatti nella verità ‘devi’ manifestarla, portarla, gridarla fuori di te, non ne puoi fare a meno, perché ormai è parte di te.
Se manifestassi qualcosa che non è la verità, allora si tratta di falsa testimonianza, scaturigine di vita malata.
La figura del Battista ci suggerisce che la verità non basta proclamarla, non è sufficiente dirla, occorre viverla. Per cui il testimone è colui che vive le parole di verità che dice. Dà consistenza, carne e sangue, vita alla Parola che l’ha fatto vivere. Per questo Giovanni è un uomo vero: vive, e dice quella Parola vera che gli rende viva la vita. Perché è vero solo ciò che corrisponde al cuore, ciò che permette di essere veramente se stessi. Infatti quando gli chiedono «Chi sei tu» (v. 19), egli dice semplicemente la verità di sé, e risponde, per tre volte: «io non sono» (vv. 20b; 21a; 21b). Splendido!
Io sono ciò che non sono. Questo è l’uomo vero.
Sì, perché il rischio è sempre quello di credere di essere ciò che pensiamo di essere o ciò che gli altri pensano – e vogliono – che noi siamo. Arrivare a definirci al di là dei nostri deliri di onnipotenza, dei nostri sogni, delle nostre frustrazioni, e di tutte le attese riposte in noi dagli altri, è giungere finalmente alla verità di sé.
Giovanni è l’uomo che vive di desiderio. È apertura e accoglienza di una verità in grado di definirlo.
È sempre qualcos’altro, ciò che può raggiungermi, a dire chi sono io veramente. Io non posso ancora dirlo, sono ‘in attesa’ di essere compiuto. Non lo sono ancora. Il desiderio è la caratteristica esistenziale dell’uomo povero, cioè ancora aperto ad un futuro, ad un oltre. Io sono ‘attesa di compimento’. Finché si è ontologicamente poveri, possiamo ancora desiderare di essere raggiunti, ovvero salvati.
Il testo non dice che Giovanni è la luce, ma che testimonia la luce. È doveroso diffidare di coloro che si credono ‘illuminati’; è il germe di ogni dittatura. Il testimone è colui che è chiamato a far risplendere una luce “altra”, non la propria. In caso contrario sta riposando semplicemente nelle tenebre. Il testimone è chiamato a testimoniare la verità che gli è stata donata. Testimoniassimo la “nostra” verità sarebbe l’inizio della menzogna.
Ma allora chi è Giovanni il Battista?
Finalmente al v. 23 si definisce come: «Io sono voce». Attenti, non dice sono la Parola, ma voce, attraverso cui la Parola può dirsi. Egli è a servizio della Parola.
La voce senza parola è ‘non senso’, la Parola senza la voce è ‘muta’. E questa voce non dice la parola, ma la grida. Il testo sotteso a tutto ciò, è un passo del profeta Isaia, attraverso cui Dio, il liberatore, dice l’urgenza di tirare fuori dall’oppressione, dall’ingiustizia, dal non senso, tutti i suoi figli che stanno subendo la prova dell’esilio.
Ecco chi è il Battista: Voce, che grida la Parola ovvero il Vangelo: nessun uomo su questa terra deve trovarsi in un’insufficienza di vita, perché Dio ha solo un sogno: che tutti i suoi figli possano uscire dalle tenebre e godere quella luce che può farli sbocciare alla pienezza. Giovanni, i profeti di ieri e di oggi, son coloro che hanno il compito di svegliare le coscienze, a dire che sulle nostre teste c’è un male che tiene in ostaggio l’uomo, che gli impedisce di essere sé stesso. Son coloro che gridano che non ci si può rassegnare all’ingiustizia, che occorre optare per soluzioni in grado di contribuire ad uscire dalla logica di potere, che l’uomo è fatto per altro, per la verità, e la verità ha sempre a che fare con la libertà e la giustizia.
Insomma, il Battista proclama che l’uomo non basta a sé stesso. Per questo dà voce a tutto ciò che noi cerchiamo di soffocare, a quelle speranze che noi stessi zittiamo dentro di noi, ciò a cui noi rinunciamo dicendo: non c’è nulla da fare. Dà voce all’umanità e alla verità dell’uomo, a quel desiderio che non va mai soffocato, di libertà, di verità, di giustizia. Egli sa che solo se desidera tutto questo la creatura perverrà all’esperienza di Dio perché Dio riempirà l’uomo se è abisso di desiderio.
Testimone nell’originale greco suona così: martys, martire! Sì, perché il ‘potere’ dinanzi alla verità non può far altro che sconfessarla; la tenebra ha il terrore della luce, perché non potendola fagocitare ne rimarrebbe illuminata.
Giovanni verrà decapitato; Erode tagliandogli la gola crederà di aver tacitato la voce, ma non ha fatto altro che amplificarla a dismisura, perché la verità messa a tacere grida ancora più forte. Si pensi ai martiri dei giorni nostri: son stati più significativi dopo la morte che nel loro fattivo impegno quotidiano.
Giovanni il Battista, col gesto simbolico del Battesimo, ricorda all’uomo di sempre, che la vita così com’è è una vita insufficiente, morta. L’immersione nell’acqua – primo momento del battesimo – significa in qualche modo accettare di morire, di andare a fondo della propria verità, del proprio limite. Prendere coscienza della personale esistenza che si sta lentamente spegnendo. È come se il Battista dicesse: “guarda uomo ciò che sei; ciò che credevi ti desse vita in realtà non ha fatto altro che assicurarti la morte. Se non dai voce al tuo desiderio di essere grande, vivente, che senso ha la tua vita? Ora emergi, vieni fuori dall’acqua, rinasci! Puoi farlo, perché è giunto finalmente Colui che per dare compimento al tuo cuore è sceso con te nel tuo limite; perché tu ti ritrovassi si è perduto, e che per abbracciarti ha spalancato le braccia sul legno di una croce».