OMELIA 3a Domenica Avvento. Anno C

«10Le folle interrogavano [Giovanni il Battista]: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo. (Lc 3, 10-18)


Questa terza domenica di Avvento, viene denominata,della gioia’. Memoria di ciò che è – o meglio, dovrebbe essere – l’esperienza cristiana: gioia profonda.

Nel Vangelo appena letto, abbiamo la folla, declinata in particolare in pubblicani e soldati arruolati nelle fila romane, che accostatisi al Battista gli domandano cosa dover fare, come vivere per non conoscere il fallimento della vita.

Nei versetti precedenti – non inclusi nel brano odierno, con un tono da profeta veterotestamentario, Giovanni mette in guardia affermando che la propria vita può conoscere effettivamente il fallimento; che il tempo concessoci è breve, che la morte inesorabilmente è lì ad attenderci all’appuntamento finale, e che sarà in grado di infrangerla e sorpassarla solo colui che, come albero con profondissime radici, avrà dato buoni frutti. Insomma, una vita infeconda è presentimento del nulla.

Neanche il dirsi ‘di Dio’, nella fattispecie cristiani, è prerogativa di salvezza. Non sarà mai un’appartenenza religiosa, un credo, una religione a salvare! Non si supera la morte in virtù di una fede in Dio, ma attraverso una vita che avrà lo stile di Dio.

 

Va da sé che la risposta del Battista non può essere altra che questa: ‘porta frutto nella tua storia’, in altre parole, ‘sii felice’.

Una vita informata di felicità, di gioia, di fecondità perché giocatasi nel dono di sé, è in grado di vincere la tristezza e il non senso della morte.

In altre parole, Giovanni dice a tutti, e quindi a me oggi: ama!

E poi comincia a declinare il verbo amare: date, non esigete, non trattenete, non maltrattate, non estorcete.

In qualunque stato di vita ti trovi, qualsiasi lavoro tu faccia, in qualunque situazione e momento della vita in cui ti trovi, tu ama: trasforma il piccolo ‘pezzo di terra’ che ti è stato affidato, in ambiente di giustizia. Accorgiti che l’altro viene prima di te, che la sua povertà è il prezzo che sta pagando per la tua ricchezza, che la sua fame è necessaria per la tua sensazione di sazietà.

Siamo chiamati ad intessere il nostro piccolo mondo, di relazioni di pace, di luce, di accoglienza, di giustizia. Sarà l’unico modo per vincere il mondo intessuto del male fatto e quello subìto.

Testimonieremo così Dio nel mondo, ovvero saremo Dio in mezzo agli uomini, lo incarneremo, in ogni dove, gli daremo volto, permettendo che si compia nuovamente il Natale di Cristo, che non sarà a quel punto, mera memoria di un fatto passato, ma gioia e festa di un mondo rinnovato.