OMELIA 3a Domenica di Quaresima. Anno B

«Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16e ai venditori di colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”. 17I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. 18Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. 19Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. 20Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. 21Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.23Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo». (Gv 2, 13-25)

 

In questa terza domenica di Quaresima, ci viene incontro una pagina di Vangelo che per quanto possiamo conoscere, ci mette sempre un po’ a disagio.

Un Gesù che fabbrica fruste, che caccia fuori ‘tutti’ dal luogo più sacro di Gerusalemme, che getta a terra oggetti e rovescia banchi, cozza con l’immagine del Gesù mite e buono cui siamo abituati.

Un’immagine forte, certo, ma più forte ancora è il messaggio ultimo che sta dietro a questo episodio, perché annuncio dell’intero Vangelo: da una parte Gesù è venuto a purificare la nostra mente e il nostro cuore dalla falsa idea di Dio che ci portiamo dentro e con cui siamo soliti confrontarci, dall’altra egli è colui che caccia fuori dal luogo più sacro che abbiamo – il nostro cuore – tutti i ladri che continuano a rubarci la pace e la gioia di vivere.

 

Come si è detto, Gesù è venuto a distruggere la falsa immagine di Dio che in fondo ognuno di noi si porta dentro, al fine di edificare, costruire, far risorgere, far rinascere nel nostro cuore la convinzione che Dio è solo Padre, amore che ama indipendentemente dal comportamento dei suoi figli.

Fino a quando la nostra vita religiosa si muoverà nella melma del commercio, del dare e avere, del bieco scambio con la divinità al fine di riceverne qualcosa, il Signore della vita non potrà mai raggiungerci, in quanto egli è solo grazia e dono immeritato. Gesù è venuto inoltre a distruggere la logica del sacrificio; ci ha rivelato che il Padre non vuole sacrifici ed offerte (cfr. Sal 40, 7), ma è amore che si sacrifica per i figli amati.

Recupero un passaggio prezioso di Silvano Fausti, utilizzato tempo fa per il medesimo brano in un altro contesto liturgico. Riguardo alla necessità di essere liberati e purificati da una falsa immagine di Dio come commerciante e della religione come mercato del dare e avere, il Gesuita scrive: «noi gli diamo delle cose perché lui ce ne dia delle altre, facciamo dei sacrifici perché ci faccia dei favori, facciamo opere buone perché ci dia il premio. Concepire Dio in termini di legge, di obbligo, di dovere, di debito, di paga, di castigo, di premio invece che in termini di amore, di risposta, di alleanza, di nozze, è stravolgere la religione e Dio morirà per questo. L’ipotesi che sembra più vera è che Dio non è morto per i peccatori, per i peccatori non occorreva morire – bastava dire: Siete salvati! – è morto per i giusti, per convincerli del loro peccato, il peccato di avere un’ipotesi così cattiva su Dio. E Dio deve proprio morire in croce per dire: non sono così!» (Silvano Fausti).

 

In questo modo vengono scacciati da dentro di noi tutti quei ladri che continuano a rubarci la serenità e la bellezza di essere figli; sono i sensi di colpa che ci distruggono, la tristezza del dover sempre corrispondere alle attese, la frustrazione di non sentirsi a posto, adatti, puliti dinanzi alla legge e al legislatore. Gesù è venuto a cacciare fuori dal nostro cuore i fantasmi del migliorismo, facendoci comprendere che Dio non vuole figli migliori, ma solo figli amati.

A quel punto «molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome» (v. 23). È facile credere perché si vedono miracoli (Giovanni li chiama segni), soprattutto se toccano direttamente la propria vita. Si è sempre ipersensibili riguardo all’eccezionale, al miracolistico, al religioso… Ma dinanzi a questa fede mossa dallo straordinario, Gesù non si fida, è ancora troppo superficiale. Egli va oltre guardando dentro al cuore, perché «Egli conosce ciò che c’è nell’uomo» (25b).

 

Non si può fondare la propria vita di fede, non ci si può affidare al miracolistico, ma sull’unica cosa certa di Dio, il suo amore fedele per noi rivelatoci nel Figlio. I segni indicano oltre; il segno è indice che rimanda all’essenziale, all’amore stesso. Il rischio è quello di innamorarsi del segno, e di perdere ciò cui il segno è solo indicazione. Di innamorarsi del dono trascurando il donatore. È ciò che rischiamo continuamente confondendo la fede con la religione. Infatuati dalla religione con tutto il suo gravame fatto di norme, precetti, leggi da osservare, apparizioni e rivelazioni, si perde di vista quel Dio che sta oltre ogni religione, e che chiede solo di essere accolto come Padre amante.

Rischiamo insomma, di essere quegli stolti che fissano il dito perdendosi lo spettacolo della luna.